sabato 28 gennaio 2012

Il Cielo

IL CIELO


Il cielo potrebbe essere la continuazione del mare, il quale, laggiù dove è così distante che non riesci più a distinguere nemmeno una nave, si ripiega su se stesso e torna a  coprirci; teneramente, caldamente, amorevolmente; delle volte però, è  pauroso.

Sempre così bello, nella sua varietà infinita di colori, con le stelle, la luna, i pianeti, è utile a tutti: ai contadini, ai viandanti di notte e di giorno, in terra e in mare; ci porta la pioggia, le stagioni, il calore e la luce del sole; delle volte, ci porta la tempesta.

Ci guarda dall'alto, bonario, ammiccante, ci aiuta a sognare, ad innamorarci, come un vero amico;  delle volte, terribile.

Il cielo, potremmo considerarlo come: "là dove incomincia l'infinito".
Ma è più facile da capire che l'infinito; il cielo, rispetto all'infinito, sappiamo dove comincia: comincia dentro di noi e poi va, va, va appunto all'infinito.

Quante volte l'uomo ha cercato di entrare nel cielo, navigare nel cielo, capire il cielo.
Ma come arriviamo a capirne un pezzo, già altri dieci, cento, si pongono sconosciuti innanzi a noi.
Il cielo "è senza dimensione".

Il cielo ha visto tutto, e di tutto.
Ha visto nascere il mondo, la comparsa della vita, la nascita del Bambinello, tutto; tutto fino a Madre Teresa di Calcutta e Hitler.

Ed è ancora qui, sulla nostra testa,  insensibile, freddo, distante; a noi umani, proprio incomprensibile.

Come si fà a guardare il cielo e non pensare a Dio.


                                               Stefano Franco Sardi



venerdì 27 gennaio 2012

Come una foglia

COME UNA FOGLIA


Cadde
come una foglia d' autunno
senza rumore
senza espressione
dolce e leggera
semplicemente cadde,
perché sapeva essere il momento
senza alcun bisogno di una qualsiasi spiegazione
e quasi con sollievo
scivolò via
portandosi con sé immagini infinite
vecchie fotografie in bianco e nero
conservate con passione.

Cadde,
semplicemente cadde.

                        Ivo Degiovannini

martedì 17 gennaio 2012

IL  PRINCIPE   AZZURRO

E’ uno dei temi del corso unitrè
Ho rimandato di qualche settimana l’argomento poichè ritenevo di non avere nulla da scrivere a riguardo.
Ma uno di quei famosi cassettini della memoria si è prepotentemente aperto e mi ha ricordato che non solo un principe azzurro lo avevo sognato ma era esistito nella realtà dei miei undici o dodici anni.
Mi rivedo ancora in quella terza navata a sinistra della chiesa parrocchiale dove la nostra “scuola cantorum”, della quale facevo parte, si riuniva attorno all’armonium per cantare gli inni del caso e negli intervalli di canto il mio sguardo era rivolto verso la terza navata in fondo a destra da dove due occhi mi guardavano al di sopra delle teste che riempivano la chiesa.
Tutte le domeniche i miei sguardi si incontravano con i suoi e quanto soffrivo se qualche volta non li trovavo.
Bello, il vero principe dei miei sogni.
Quando uscivo dalla chiesa,  con la
 mia amica del cuore, lo trovavo all’uscita e ancora lo incontravo nelle passeggiate per il paese. Ma neppure alla mia amica permettevo si avvedesse di quegli sguardi nè con lei ne avrei mai parlato, avvicinarsi non era neppure pensabile, il paese intero avrebbe mormorato e ne sarei morta di vergogna.
Quegli aguardi innocenti potevano provocare uno scandalo.
Un giorno, uscendo dalla chiesa per una funzione pomeridiana, da una casa vicina, sentimmo arrivare della musica e una ragazzina come noi ci invitò ad entrare. Io e la mia amica, quasi furtivamente, ci infilammo in quella porta ed in una stanza con le finestre accuratamente chiuse verso la strada, vi erano persone che ballavano.
Il mio principe era tra loro e il mio cuore sussultò dalla gioia quando mi si avvicinò per invitarmi a ballare.
Il primo e forse ultimo ballo della mia vita.
Non sapevo ballare e glielo dissi: non preoccuparti, ti insegno io e felice tra le sue braccia ascoltavo il suo dirmi- due passi a destra, un passo a sinistra forse era così che diceva, ma tutto quello che ancora ricordo è che si trattava di un tango e che volavo tra le sue braccia.
Avevo i capelli lunghi con la riga da una parte così che per metà essi scendevano sul viso coprendomi in parte la fronte e lui per farmi un complimento mi disse: sei pettinata alla Veronica Lake. Non vi erano sale cinematografe in paese ma sapevo che la nominata era un’attrice.
Era la prima ed unica volta che l’ho visto da vicino e il mio principe aveva i capelli ricci e neri (non era biondo come nella tradizione) ma aveva gli occhi azzurri.
Avrei voluto che quel pomeriggio non finisse mai, ma come nelle fiabe, prima dell’imbrunire, abbandonammo frettolosamente quella casa per tornare a casa in tempo da non perdere la fiducia che i nostri genitori ci accordavano.
Neppure in quel caso confidai il mio segreto all’amica, tornai a casa a fantasticare e mi ricordai un episodio accaduto in seconda elementare quando lo stesso ragazzino fu punito dall’insegnante per aver lanciato un biglietto sul mio banco e denunciato dalla bimba che mi sedeva accanto.
Sognavo di incontrarlo ancora e questo avveniva spesso essendo il paese piccolo, ma il nostro era sempre un incrociarsi di sguardi innocenti.
Sembra che questi sguardi siano stati notati da altri che non li hanno giudicati tanto innocenti se un giorno la mia amica del cuore addusse un pretesto per non uscire insieme.
Siccome anche lei pativa questa nostra separazione, sedute su uno scalino, sempre all’ombra di questa chiesa mi confidò: “Mammà non vuole che esca con te perchè ha saputo che tu vedi Mario” (era questo il nome del ragazzo).
Non era vero ma quel gioco di sguardi era diventato uno scandalo di dominio pubblico.
 Mi cadde il mondo addosso, la pregai di riferire a sua madre che non era vero niente e che mai ne avrebbe fatto parola con mia madre poichè me ne sarei vergognata. Poi lei che era sempre con me, sapeva che l’unica volta che ci eravamo avvicinati  era stato a quel ballo in cui c’era anche lei e del quale nessuna di noi poteva riferire.
Soffrii la mia prima pena d’amore, ma il terrore di essere giudicata male mi impedì di continuare a ricambiare quegli sguardi ed evitare di girarmi in chiesa verso quella navata in fondo.
Passato pochi anni, il mio principe si trasferì a Roma per i suoi studi, io a Torino così, le nostre strade presero direzioni diverse e non ci incontrammo più.
Aprendo oggi quel cassettino ho provato una tenerezza infinita per quella innocente prima inconsapevole pena d’amore.

                 Maria Dulbecco