giovedì 30 aprile 2015

IL BAULE (racconto di guerra)

Ricordi della guerra
Il baule di Ciocco 
e lo sfollamento a Cupello
     di Maria Mastrocola Dulbecco
 








PREMESSA:
Seconda guerra mondiale  1943. Dopo il famoso armistizio dell’8 settembre gli alleati vennero su per la nostra Italia dalla Sicilia su per la Calabria, Puglie e il primo fronte organizzato dai tedeschi per fermare l’avanzata è stato sul Trigno,  al confine con l’Abruzzo, proprio nel mio paese San Salvo.
****
Donna Elvira Artese Ciocco venne a casa e confabulando con mamma ed altre donne, decisero di nascondere gli oggetti di valore in un armadio a muro, che noi avevamo in cima alla prima rampa di scale. Donna Elvira  e Francesca, portarono un baule, Carmela uno scatolone, forse anche Marietta, e nell’armadio a muro, oltre ad altri oggetti, vi depositammo la cosa più preziosa della casa: una radio.
Subito dopo un muratore provvide a chiudere quell’armadio con i mattoni e l’intonaco, dipingendo il tutto con la stessa tinta del muro circostante.
Erano tutti soddisfatti di aver realizzato questo stratagemma che doveva servire a nascondere le poche cose preziose ai tedeschi.  Io credo che neppure per un attimo passò loro, per la mente, che una bomba potesse distruggere i loro ricordi;  nè mia mamma pensò che poi avrebbe pianto molto per quel baule dei Ciocco.
Infatti, quando arrivarono gli inglesi, l’incubo di mia madre, e tutti noi,  fu un  ufficiale scozzese con il gonnellino a pieghe ed un frustino in mano che, con un codazzo di militari appresso, avendo saputo di quel baule, ogni tanto veniva a casa dicendo alla mamma di non restituire niente ai proprietari, fino alla sua prossima visita.  Cercavano documenti che appartenessero a Don Vitaliano perché lui, deportato dagli alleati al confino, era stato un importante esponente fascista di Chieti.
In verità in quel baule non trovarono nessun documento, ma bellissime stoffe e oggetti di pregio che io bimba,  sospettavo piacessero molto al militare in gonnella.
Tra una visita e l’altra dell’ufficiale, arrivava Donna Giovanna, figlia di Donna Elvira e don Vitaliano, che pregava la mamma di restituirle quel baule mamma, ma ella  non poteva perché il militare con il gonnellino, puntualmente veniva a farle visita.
Erano scene  bruttissime perché Giovanna inveiva contro la mamma e non capiva che lei aveva avuto l’ordine di non ridarglielo. Così che la nostra amicizia con  loro finì con solenne bisticciate.
Questa storia terminò con l’arrivo del personaggio in gonnellino, che dichiarò di confiscare quel baule per ordini superiori, e con i suoi militari si portò via il baule con i suoi tesori.
Sollievo da parte della mia mamma.
 A me restò il pensiero che a quel militare, piacessero quegli oggetti.
Malizie di bimba che non aveva mai visto oggetti più belli. In seguito mi ricredetti.
Ritorniamo alla guerra. 
Nell’imminenza dello scontro i tedeschi ci fecero evacuare da San Salvo verso nord.   Quella sera, nel tardo pomeriggio,  il podestà a bordo di un sidecar (appendice della moto), girava per tutto il paese, invitandoci a sfollare. Tutti  frettolosamente raccolsero i pochi indumenti necessari.  Io e la mia famiglia, tra una folla di gente, ci incamminammo a piedi verso la strada del cimitero, che ci portava fuori del paese. Per quella strada, verso Cupello, si formò una lunga coda di persone in cammino. Un esodo mai visto. Tutti a piedi, nessuno aveva automobili come ora.
Intanto si era fatto buio.  Ci fermammo alla prima masseria incontrata, che era dei casolani,  clienti della mamma.  Non fummo i soli a fermarci lì. I casolani, poveretti, fecero quello che poterono e ricordo che su un materasso, appoggiato per terra, vi dormimmo  un numero esagerato di persone.
All’alba riprendemmo il cammino e in poche ore arrivammo dai parenti  che ci accolsero calorosamente, improvvisando deschi e letti,  per attendere insieme la fine della guerra.
Noi eravamo sfollati a Cupello per non essere sulla linea del fronte, ma da lì si assisteva e si sentivano i cannoneggiamenti e spesso, noi bambini, ci divertivamo ad osservare i duelli aerei tra i due contendenti.
Una mattina tutti assistemmo al sorvolamento di due aerei da ricognizione che si abbassarono sul paese e poi si rialzarono in volo, allontanadosi.
 Al mattino dopo ci accorgemmo che i tedeschi erano spariti.
Nessuno più era nelle cucine che erano di fianco a noi, nessuno più nel palazzo dove c’era il comando tedesco.  Ci  era sembrato che fosse un buon segno, pensando che erano in arrivo gli alleati.
 Ed invece no. 
Verso le 10 o 11  arrivarono formazioni di bombardieri che avevamo visto passare precedentemente disposti a V.  Questa volta però non erano di passaggio; si abbassarono e bombardarono proprio sopra di noi.  Nella concitazione, tutti cercammo un riparo di fortuna. In 19 persone ci ritrovammo  sotto un sottoscala,  che resistette alle esplosioni salvando le nostre vite, mentre attorno tutto era crollato.
Era accaduto che gli aerei da ricognizione del giorno precedente avevano fotografato le postazioni tedesche e quindi gli inglesi erano sicuri di colpire i tedeschi che  però avevano capito ed erano fuggiti.   Morirono molti ignari civili e fu veramente una strage. Famiglie intere scomparvero sotto quei bombardamenti .
In quel momento papà non era con noi. Si era salvato dalla morte tornando, a piedi, dalla Croazia  fino a casa. Per non essere catturato dai tedeschi, le autorità del municipio, gli avevano dato una fascia da mettere al braccio con la scritta “polizai”, perché prima di partire militare aveva fatto la guardia municipale.
Papà arrivò da noi  tutto trafelato, tra le macerie, felice di ritrovarci tutti vivi. Ci radunò e tutti insieme ci avventurammo fuori alla ricerca di un posto dove andare. Papà mi teneva per mano e le strade non c’erano più. Camminavamo tra macerie e fili, dove spesso inciampavo, scorticandomi le ginocchia.  
C’erano persone che scavavano tra le macerie e vidi gente insanguinata venir fuori da quel groviglio di mattoni e tegole. Nel cammino incontrammo compagni di sventura che ci invitarono ad andare con loro.  Finimmo in una cantina piena di botti, dove dissero che avremmo trovato riparo.
Passammo una notte che non avrei mai più dimenticata.
In mezzo a quelle botti enormi di vino (si usava allora che i proprietari di terreni, con tanta uva, producessero  il vino per poi conservarlo in grandi botti di rovere), erano in tanti coloro che, salvatisi da quel primo bombardamento cercavano un riparo. 
Alcuni  pregavano a voce alta, invocando la protezione di Dio, altri assistevano noi bambini  improvvisando cuccette per farci dormire. 
Ricordo che in mezzo a loro c’era un uomo che dava in escandescenze. Era il padrone dello scantinato. Gridava forte insultandoci perché avevamo invaso la sua cantina.  Gridava dicendo che ci avrebbe ammazzati tutti e inveiva brandendo quello che gli capitava tra le mani.  Noi bambini eravamo impauriti mentre gli uomini presenti, gli si misero tutti attorno, cercando di rabbonirlo.
In qualche modo la notte passò e mamma e papà decisero che all’alba saremmo partiti per San Salvo.
Cupello subì un altro bombardamento nella mattinata.
Alcune voci dicevano che a San Salvo erano arrivati gli alleati ma non ne avevamo nessuna certezza.
Ciononostante papà decise che dovevamo rientrare a casa e così la nostra famigliola si avventurò a piedi verso San Salvo, scendendo giù dalla “rasc-ca” di Cupello.
Attraversammo campi incolti dove, sapemmo poi, vi erano disseminate mine, ma ne uscimmo indenni. Evitavamo altre strade nel timore di incontrare tedeschi.
Fortunatamente arrivammo a San Salvo dalla parte di lu “termine” e subito incontrammo due militari che passeggiavano: erano inglesi.
Felici ci avviammo verso casa ancora in corso Garibaldi.
Arrivati a casa, la trovammo piena di gente che festeggiava la liberazione e stavano imbandendo una tavolata, con un nostro porcellino che avevamo lasciato in custodia a dei nostri vicini che avevano una stalla,  i quali  non erano stati cacciati dai tedeschi perché avevano una malata molto anziana in casa.
Ricordo che ci accolsero festosamente, scusandosi per averci invasa la casa, ma papà li riassicurò dicendo loro che avevano fatto bene.
 Ci invitarono a questo desco e a capotavola  c’era un personaggio che si chiamava “Farravaune” .
Questo nome lo ricorderò per sempre, perché fu lui ad accusarci, con gli inglesi, di aver nascosto nel muro i documenti di Ciocco. Lo seppe proprio durante quel pranzo di quel baule che avevamo murato in un armadio su per le scale.
Infatti fu proprio lui ad accompagnare  il famoso ufficiale dal gonnellino, presenziando entrambi alla rottura di quel muro.
Tutto questo procurò molti dispiaceri alla mia famiglia.
La vita ricominciò ed anche  la nostra radio riprese il suo posto. Affinchè funzionasse bene chiamarono Senofonte Ciavatta che sistemò una antenna che usciva dalla finestra e attraversava tutta la “rualle” , per fermarsi sul muro di fronte.
In seguito mamma andò a scegliere una radio nuova da Guerino Cilli, almeno credo, che aveva un negozio a lu “quartabball”, in via Roma,  dove poi acquistò tutti i nuovi ritrovati domestici: una  cucina a gas e altri aggeggi utili al funzionamento della casa, che prima della guerra non esistevano.
Avevo una mamma moderna che faceva la sarta ed apprezzava le novità tecnologiche. Amava lo sport e tifava per Bartali e fu così che il foglio rosa della Gazzetta dello sport, l’unico giornale che arrivava a San Salvo, entrò in casa nostra.
Poi arrivò la politica ed insieme a mia madre ce ne siamo molto occupate, nonostante la mia giovane età. Non avevo ancora undici anni ma già  partecipavo attivamente alla Azione Cattolica, come segretaria delle Aspiranti e redigevo i verbali delle riunioni.
Fu in quel periodo, che insieme ad un esiguo numero di ragazze, cominciammo ad aiutare Lellino Artese  e la Democrazia Cristiana.
I due partiti predominanti erano: Il partito Comunista,  diretto da Carlo Alberto e la democrazia cristiana, con la direzione occulta di Don Cirillo.
I  due spesso si scontrarono, proprio come Peppone e Don Camillo,
Uno alzava l'altoparlante quando c'erano i comizi democristiani .
L'altro faceva suonare le campane quando i comizi erano dei comunisti.
 
                                                                                  Maria Mastrocola Dulbecco


domenica 26 aprile 2015

Omaggio a MARINA ODDONE

Mi fa piacere l'accoglienza riservata a Marina dai redattori de LNC e ne trasmetto la motivazione:


Scolpire nel tramonto

il nostro amore,

fuggevole bacio

sconvolge il pensiero.

Nuvole soffici

di un cuore perduto

nell’ultimo raggio di sole.

Temere la notte

per non poter

vedere i tuoi occhi,

stelle dell’imminente sera.

Oddonemarina

 

 

 

Recensione e video di Rosemary3

È con immensa emozione che mi accosto a recensire il brano scelto per il Soffio d’Amore del mese di marzo 2015, “Il nostro amore” di Marina Oddone.
Noi tutti de “La Nostra Commedia” abbiamo imparato a conoscere questa brava autrice che coinvolge con le sue emozionanti liriche.
Ha un blog personale, marina oddone, fucina delle sue riflessioni in versi e dove è possibile attingere linfa per dissetarsi.
Che dire di questa stupenda composizione, intarsio di un amore vissuto come prezioso nettàre che il cuore disorienta?
Gli ultimi bagliori crepùscolari assalgono la mente che, come accorato canto, si traduce in totale godimento…
Ammantata da un magico alone, la lirica pervade l’animo di delicate sensazioni, ed ogni umana riflessione cede al grande bisogno di requie che permea l’intera composizione, per approdare al fin alla magìa dell’estasi.
La Redazione tutta ringrazia l’autrice per questa autentica perla, auspicando che ancora prosegua a produrre emozioni.

Rosemary3

 

 

 

 

 

 

 

 

venerdì 24 aprile 2015

Festa della liberazione (racconti di guerra)


                                                     RICORDI della GUERRA

                                                          (4)

 

      Seconda guerra mondiale  1943. Dopo il famoso armistizio dell’8 settembre gli alleati vennero su per la nostra Italia dalla Sicilia su per la Calabria, Puglie e il primo fronte organizzato dai tedeschi per fermare l’avanzata è stato sul Trigno  al confine con l’Abruzzo proprio nel mio paese San Salvo.

Donna Elvira Artese Ciocco venne a casa e confabulando con mamma ed altre donne decisero di nascondere gli oggetti di valore  murando queste cose in un armadio a muro che noi avevamo in cima alla prima rampa di scale. Donna Elvira con Francesca portarono un baule, Carmela uno scatolone forse anche Marietta e oltre ad altri oggetti, vi depositammo la cosa più preziosa della casa, una radio. Un muratore provvide a chiudere quell’armadio con i mattoni e  l’intonaco dipingendo il tutto con la stessa tinta del muro circostante

Tutti soddisfatti di aver realizzato questo stratagemma per nascondere le poche cose preziose ai tedeschi. Io credo che neppure per un attimo passò loro, per la mente che una bomba potesse distruggere i loro ricordi ne mia mamma pensò che poi avrebbe pianto molto per quel baule dei Ciocco. L’incubo di mia madre e tutti noi è stato un  ufficiale scozzese con il gonnellino a pieghe e il frustino in mano che, con un codazzo di militari, ogni tanto veniva a visitare quel baule dicendo alla mamma si non restituire niente ai proprietari fino alla sua prossima visita.  Cercavano documenti che appartenessero a Don Vitaliano perché lui, deportato dagli alleati, al confino, era stato, credo, un importante esponente fascista di Chieti. In verità in quel baule non avevano trovato nessun documento ma bellissime stoffe e oggetti di pregio che io bimba, capivo piacevano molto al militare in gonnella.

Tra una visita e l’altra dell’ufficiale, arrivava Donna Giovanna figlia di Donna Elvira a don Vitaliano che pregava mamma di restituire a lei questo baule mamma non poteva perché il militare con il gonnellino, puntualmente veniva a  farle visita.

Erano scene  bruttissime perché Giovanna inveiva contro la mamma e non capiva che lei aveva avuto l’ordine si non ridarglielo così che la nostra amicizia con  loro finì con solenne bisticciate.

Questa storia terminò con l’arrivo del personaggio in gonnellino che dichiarò di confiscare quel baule per ordini superiori e con i suoi militari portò via il baule con i suoi tesori.

Sollievo da parte della mia mamma e a me restò il pensiero che a quel militare, piacevano quegli oggetti.

Malizie di bimba che non avevano mai visto oggetti più belli. In seguito ricreduta.

 

Ritorniamo alla guerra. 

 

 Nell’imminenza dello scontro i tedeschi ci hanno fatto evacuare da San Salvo verso nord.   Quella sera, nel tardo pomeriggio, il podestà a bordo di un sidecar (appendice della moto) girava tutto il paese invitandoci ad uscire dal paese e tutti  frettolosamente, i grandi, hanno raccolto pochi indumenti e una folla di gente ci dirigemmo verso la strada del cimitero che a piedi ci portava fuori del paese. Per la strada del Cimitero, verso Cupello  si formò una lunga coda di persone in cammino. Un esodo mai visto. Tutti a piedi, nessuno aveva automobili come ora.

Noi ci siamo diretti verso  Cupello dove mia madre aveva dei parenti.

Ma intanto si faceva buio e ci siamo fermati alla prima masseria incontrata che era dei casolani  clienti della mamma. Ma non eravamo i soli a fermarci così che quei poveretti fecero quello che poterono e ricordo che su un materasso appoggiato per terra, vi dormimmo in un numero di persone esagerato.

Al mattino riprendemmo il cammino e in poche ore arrivammo dai parenti  che ci accolsero calorosamente improvvisando deschi e letti per attendere insieme la fine della guerra.

   Noi eravamo sfollati a Cupello per non essere sulla linea del fronte ma da lì si assisteva e si sentiva i cannoneggiamenti e spesso ci divertivamo ad osservare  i duelli aerei tra i due contendenti.

     Una mattina tutti assistemmo al sorvolamento di due aerei da ricognizione che si abbassavano sul paese e poi rialzandosi si allontanavano.

     Al mattino dopo ci accorgemmo che i tedeschi erano spariti. Nessuno più nelle cucine che erano di fianco a noi, nessuno più nel palazzo dove c’era il comando tedesco e ci era sembrato un buon segno pensando che erano in arrivo gli alleati.

     Ed invece verso le 10 o 11  arrivarono formazioni di bombardieri che avevamo visto passare precedentemente disposti a V.  Questa volta però non erano di passaggio, si abbassarono e bombardarono proprio sopra di noi. Tutti abbiamo trovato un riparo di fortuna, noi in 19 persone sotto un sottoscala che ha resistito alle esplosioni salvando le nostre vite mentre attorno tutto era crollato.

     Era accaduto che gli aerei da ricognizione del giorno precedente avevano fotografato le postazioni tedesche e quindi loro i bombardieri erano sicuri di colpire quei tedeschi che  avevano capito ed erano fuggiti.  Morirono tutti i civili ignari e fu veramente una strage. Famiglie intere scomparse sotto quei bombardamenti .

In quel momento papà non era con noi. Si era salvato dalla morte tornando, a piedi, dalla Croazia  fino a casa e per non essere preso dai tedeschi, le autorità del municipio gli avevano dato una fascia da mettere al braccio con scritto “polizai” perché prima di partire militare aveva fatto la guardia municipale. .

Lui arrivò da noi  trafelato, tra le macerie, felice di ritrovarci tutti vivi, ci radunò e tutti insieme ci avventurammo fuori alla ricerca di un posto dove andare. Papà mi teneva per mano e le strade non c’erano più. Camminavamo tra macerie e fili dove inciampavo e mi scorticavo le ginocchia.  C’erano persone che scavavano tra le macerie ed ho visto gente insanguinata venire fuori da quel groviglio  fino ad incontrare persone ancora sane che ci invitarono ad andare con loro e finimmo in una cantina pien di botti dove dicevano che avremmo potuto trovare riparo.

Passammo una notte che non avrei mai più dimenticata.

In mezzo a quelle botti enormi di vino, usava allora che i proprietari di terreni con tanta uva producessero  il vino e lo conservavano in grandi botti di rovere,  eravamo tante persone che salvatosi dal primo bombardamento, eravamo in cerca di un riparo. 

Alcuni gruppi pregavano a voce alta invocando ola protezione di Dio, altri assistevano noi bambini  improvvisando cuccette per farci dormire ma in mezzo a tutti c’era un uomo che dava in escandescenze. Gridava forte insultandoci perché avevamo invaso la sua cantina evidentemente era un componente della famiglia proprietaria.

Gridava dicendo che ci avrebbe ammazzati tutti e inveiva brandendo quello che gli capitava tra le mani, eravamo tutti impauriti e gli uomini presenti lo attorniarono cercando di rabbonirlo ma noi bimbi avevamo paura.

In qualche modo la notte passò e mamma e papà decisero che all’alba saremmo partiti per San Salvo.

Cupello subì un altro bombardamento nella mattinata.

Alcune voci dicevano che a San Salvo erano arrivati gli alleati ma non avevamo nessuna sicurezza.

Ciononostante papà decise che dovevamo tornare e così la nostra famigliola si avventurò a piedi verso San Salvo scendendo giù dalla “rasc-ca” di Cupello.

Attraversammo campi incolti dove, sapemmo poi, vi erano disseminate mine ma ne uscimmo indenni. Avevamo evitato le strade nel timore di incontrare tedeschi,

Fortunatamente siamo arrivati a San Salvo dalla parte di lu “termine” e subito incontrammo due militari che passeggiavano: erano inglesi.

Felici ci avviammo verso casa ancora in corso Garibaldi.

Arrivati a casa, la trovammo piena di gente che festeggiava la liberazione e  stavano imbandendo, con un nostro porcellino, lasciato ai vicini che avevano una stalla e non erano stati cacciati perché avevano una malata molto anziana.

Ricordo che ci accolsero festosamente scusandosi per averci invasa la casa ma papà li riassicurarono dicendo loro che avevano fatto bene.

Ci invitarono a questo desco e a capotavola c’era un personaggio che si chiamava “Farravaune” –

Questo nome dovevamo ricordarlo in seguito perché fu lui ad accusarci, con gli inglesi, di aver nascosto nel muro i documenti di Ciocco. Lui  durante quel pranzo aveva saputo di quel nascondiglio che con i vicini avevamo murato in un armadio su per le scale.

Così, accompagnò il famoso ufficiale dal gonnellino e presenziarono alla rottura di quel muro.

Tutto questo procurò molti dispiaceri alla mia famiglia .

La vita ricominciò ed io ripresi il mio posto all’inizio del tavolo con un tavolino a fianco dove la nostra radio aveva ripreso il suo posto.

Perché funzionasse bene era venuto  Senofonte Ciavatta e ci aveva sistemato una antenna che usciva dalla finestra e attraversando la “rualle” si fermava sul muro di fronte.

In seguito mamma andò a scegliere una radio nuova da, credo, Guerino Cilli che aveva un negozio a lu “quartabball”, in via Roma dove poi acquistò tutti i nuovi ritrovati domestici: cucina a gas e altri oggeggi utili al funzionamento della casa che prima non esistevano.

Avevo una mamma moderna che faceva la sarta ed apprezzava le novità tecnologiche.

Lei amava lo sport e tifava per Bartali così che il foglio rosa della Gazzetta dello sport, l’unico giornale che arrivava a San Salvo, entrò in casa nostra.

Sono un fiume in piena e nonostante i miei ottanta anni, potrei continuare a raccontare per molto ancora perché poi arrivò la politica ed insieme a mia madre ce ne siamo molto occupate nonostante la mia giovane età, non avevo ancora undici anni e partecipavo attivamente alla Azione Cattolica come segretaria delle Aspiranti e poi Giò redigevo i verbali delle riunioni. Ed insieme ad un esiguo numero di ragazze, cominciammo ad aiutare Lellino Artese  e la Democrazia Cristiana.
I due partiti predominanti erano: Il partito Comunista  diretto da Carlo Alberto e
La democrazia cristiana diretta da Don Cirillo.
 
Ebbe inizio  le due campagne elettorali con i due che si scontrarono come Peppone e Don Camillo,
 
Uno alzava l'altoparlante quando c'erano i comizi democristiani e
L'altro faceva suonare le campane quando i comizi erano dei comunisti.
 

 

                                           Maria Mastrocola Dulbecco

 

 

lunedì 20 aprile 2015

Ricordi della guerra
Paura dei tedeschi
di Maria Mastrocola Dulbecco 




 


Come posso controllare le parole che si affollano nella mia mente e chiedono con insistenza di uscire fuori per essere impressi nella carta quando queste affluiscono numerose  in un mare di sensazioni, che dilaniano l’anima  e non vogliono essere più represse, provocandomi un incessante tormento.
A quali  dare la precedenza sicura per poterli  far defluire  e comporre un logico racconto che mi aiutino a districare i fili  che compongono lo scorrere  del raccontare.
I primi ricordi, non sono molto allegri, sono cresciuta con la guerra.  A sette otto anni quelli sono i ricordi  predominanti. 
Incertezza, paura!              
Paura dei tedeschi che incontravo fuori della porta. Gli aerei da ammirare in formazioni triangolari, belli da guardare, ma erano portatrici di bombe.
Io giocavo sull’uscio di quella casa, dove eravamo sfollati,  e sentivo il sibilo dei proiettili di cannoni che attraversavano il paese per andare ad esplodere al di là delle case. 
Ascoltando avevo imparato a simulare il loro sibilo che nei momenti di tregua ripetevo  per giocare a far spaventare mamma e nonna, che mi abbracciavano come a difendermi da quelle bombe.
La nonna!  E' stata l’unica ad avere avuto il coraggio di tornare a San Salvo, dove era la nostra casa, camminando a piedi, da Cupello, per andare a prenderci i vestitini pesanti, visto che stava arrivando il freddo e la guerra continuava. Eravamo stati sfollati con il caldo e si pensava potessimo far ritorno a casa entro pochi giorni, ma non fu così.
Lei, partì di buon mattino , a piedi, attraversando campi e strade deserte, arrivando a casa dove trovò un paese disabitato. Prese due fagotti di indumenti a noi necessari e riprese la strada per Cupello.
Al ritorno ci raccontò che per strada, aveva invocato continuamente il Signore che l’aiutasse ad arrivare viva. Quelle cannonate delle quali sentivamo solo il sibilo, se li era visti cadere vicino  e trovava, sul cammino, buche provocate da questi  proiettili.
Ringraziando Dio riuscì ad arrivare da noi.
Insieme a noi vi erano altri parenti e tutti, in attesa che i tedeschi andassero via, si prodigavano per il sostentamento di  questo gruppo. 
In quei giorni, contrariamente a quanto accadeva nel resto d’Italia, da noi abbondava il mangiare. Le donne facevano il pane in casa e tutti abbattevano gli animali che possedevano per non farli prendere dai tedeschi. Tutti i giorni si facevano grossi tegami  pieni di carne a (ciff e ciaff), volevo dire solo soffritti insaporiti da peperoni rossi essiccati al sole e spicchi d’aglio.
A volte, i tedeschi, che avevano allestito una cucina a fianco a noi, in una casa dei nostri parenti, ci sporgevano  pezzi di carne che avevano in abbondanza.
Una mattina arrivarono un gruppo di tedeschi che cercavano donne da portare con loro per  farsi aiutare nelle  cucine ai margini del paese.  Tutte le donne di casa si misero a sfaccendare per far vedere che erano occupate. Qualcuna ha preso in braccio il mio fratellino piccolo e accadde così che solo mia nonna era rimasta senza occupazione alcuna. I tedeschi la stavano portando via ma non avevano fatto i conti con me piccolina. Mi avvinghiai alle gambe della nonna e gridavo affinché non me la portassero via.
I due non parlavano italiano ma capirono la mia angoscia e si commossero (alla fine, anche loro erano soldati con tanto cuore). 
Mi fecero una carezza e con un sorriso mi rassicurarono andandosene via con un saluto della mano e non portarono via nessuna delle donne di casa.
Una scena che non mi ha più abbandonata ed è servita a non farmi più avere paura dei tedeschi che incontravo sulla porta.
                                                                                             Maria Mastrocola Dulbecco


http://www.sansalvoantica.it/Maria-Mastrocola/Paura-dei-tedeschi-3.html

mercoledì 15 aprile 2015

SCRIVERE


Scrivere è liberare i nostri pensieri.

Trasmetterli su un foglio bianco pronto ad accoglierli e gratificarci di vederli stampati per poterli ricordare quando lo desideriamo.

E’ vivere sulla carta la vita che avremmo voluto e non abbiamo avuto la possibilità di poterla vivere.

La vita non ci dà una prova d’appello e così la nostra fantasia può spaziare ed immaginare le situazioni più incredibili......sognare come ci capitava da ragazzine quando pensavamo al nostro futuro.

Quando la fantasia ci trasformava in principi e principesse e le emozioni ci assalivano diventando padroni del nostro cuore.

Coraggio, liberate la vostra fantasia e scrivete tutto ciò che vi ispira senza pensare di essere giudicati perchè non è lo scopo del corso.               

. Scrivere è liberare i nostri pensieri.

La vita non ci dà una prova d’appello e così la nostra fantasia può spaziare ed immaginare le situazioni più incredibili......sognare come ci capitava da ragazzine quando pensavamo al nostro futuro.

Quando la fantasia ci trasformava in principi e principesse e le emozioni ci assalivano diventando padroni del nostro cuore.

Coraggio, liberate la vostra fantasia e scrivete tutto ciò che vi ispira senza pensare di essere giudicati perchè non è lo scopo del corso.  

             

         Maria Mastrocola Dulbecco  
 
 

 

domenica 12 aprile 2015

RICORDI

Ricordi della guerra
Il bombardamento a Cupello
     di Maria Mastrocola Dulbecco
 




Spesso  tra le notizie che il telegiornale ci propone apprendiamo che, in  zone di guerra, sono     stati bombardati civili per errore. Non posso non ricordare di aver vissuto una situazione simile.




    Seconda guerra mondiale  1943.  Dopo il famoso armistizio dell’8 settembre, gli alleati vennero su per la nostra Italia dalla Sicilia, su per la Calabria, Puglie e il primo fronte organizzato dai tedeschi per fermare l’avanzata è stato sul Trigno, al confine con l’Abruzzo, proprio nel mio paese San Salvo. Nell’imminenza dello scontro i tedeschi ci hanno fatto evacuare da San Salvo verso nord. Noi siamo andati a Cupello dove mia madre aveva dei parenti.
  Quello che volevo dire ora è che noi eravamo sfollati a Cupello per non essere sulla linea del fronte, ma da lì si sentivano i cannoneggiamenti e spesso si assisteva a duelli aerei tra i due contendenti.
  Una mattina tutti assistemmo al sorvolamento di due aerei da ricognizione che si abbassavano sul paese e poi rialzandosi si allontanavano.
  Al mattino dopo ci accorgemmo che i tedeschi erano spariti. Nessuno più nelle cucine che erano di fianco a noi, nessuno più nel palazzo dove c’era il comando tedesco e ci era sembrato un buon segno pensando che erano in arrivo gli alleati.
  Ed invece verso le 10 o 11  arrivarono formazioni di bombardieri che avevamo visto passare precedentemente disposti a V.  Questa volta però non erano di passaggio, si abbassarono e bombardarono proprio sopra di noi. Tutti abbiamo trovato un riparo di fortuna; noi in 19 persone sotto un sottoscala che ha resistito alle esplosioni salvando le nostre vite mentre attorno tutto era crollato.
   Era accaduto che gli aerei da ricognizione del giorno precedente avevano fotografato le postazioni tedesche e quindi i loro i bombardieri erano sicuri di colpire quei tedeschi che  avevano capito ed erano fuggiti.  Morirono tutti i civili ignari e fu veramente una strage. Famiglie intere scomparse sotto quei bombardamenti , la mia famiglia,  tutta salva e so di aver raccontato di questi avvenimenti e li trascriverò appena mi imbatterò in quei foglietti.
 Ora volevo solo raccontare cosa vuol dire morire per un errore come spesso  apprendiamo.
                                                                                  Maria Mastrocola Dulbecco