sabato 28 novembre 2015

PRIMA PARTE


Rivoli  19/11/12014

                                                     VITA  TORINESE 1954

Via Brindisi 3, é questo il numero civico  dove sono approdata al mio Arrivo a Torino.

Era il 10 ottobre di non ricordo bene in quale anno, forse il 1954, in gennaio, al festival di Sanremo  emergeva “Tutte le mamme”.

Era una giornata di sole e dal finestrino del treno assaporavo quel sole che mi rendeva gioiosa, tornavo a Torino per la seconda volta e questa volta per fermarmi in questa città e restarvi anche se il viaggio, fatto con mia sorella che vi lavorava, doveva solo  essere turistico. Indossavo un tailleur principe di Galles che mi dava un aspetto elegante aiuta dalla mia siluet di ragazzina che pesava 45 chili.

Quanta curiosità si accendeva nella mia mente entrando in quel cortile, nuovo per me, e attraversando lo spiazzo  ciotolato, mi sono arrampicata sulla scala che si trovava in fondo di fronte al portone d’ingresso. Ad accoglierci  c’era Michelina, la signora che ospitava mia sorella come compagnia e pensionante. Mi accolse con un sorriso e con un desinare molto ben fatto come si accolgono ospiti nuovi.

Quasi tutto il cortile si è animato dal secondo piano è salita la signora  Caldera, una signora  piuttosto in carne e un tantino strascicante ma con un viso intelligente da persona colta. Con Michelina parlava il dialetto che mi era incomprensibile e poi con un buon italiano mi rivolse parole di benvenuto  e di calorosa accoglienza parlandomi della sua (cita) figliola che sarebbe tornata dal lavoro e sarebbe venuta a salutarmi non senza avermi informata che la sua “cita” era sposata con un ingegnere che lavorava alla fiat e che lei "la cita"lavorava presso la casa editrice Paravia dove occupava una posizione di rilievo .

Ho poi conosciuto Armida e Serafino che occupavano l’alloggio piccolo a destra, salendo la scala, della signora Caldera (secondo piano). Con il loro bambino Silvano che frequentava la quinta elementare. Vispo e allegro è salito da noi, Michelina era sua zia:

Tutta questa atmosfera di cortile cittadino mi è piaciuta molto e quasi mi sono sentita a casa.

Ho imparato che il gabinetto era fuori dal balcone e che anche la signore Neta che abitava nello stesso piano nell’alloggetto piccolo di fianco ne doveva usufruire.

Appesi ad un chiodo,  piantato dietro, si vedeva  sulla porta dopo averla chiusa con un ferretto che si infilava sul muro, vi erano tanti pezzi di giornale  ricavati da “La stampa” giornale che si comprava ogni giorno e io e Michelina ci aggiornavamo  sugli avvenimenti del momento e allora, come oggi, le notizie che ci interessavano di più erano le indagini sui delitti da risolvere. Credo che in quel periodo  imperava il caso “Fenaroli”  o “Montesi”.

La “sislunga”  attirò subito la mia attenzione e ne occupai immediatamente una parte verso l’uscita mente Michelina  ne occupava l’altra parte.

In Ottobre il tempo era clemente e alla sera avevamo ancora la porta, sul balcone,  aperta e immancabilmente a mezzanotte arrivava su la signora Caldera che si attardava a raccontare le sue storie.  Mi raccontava che lei non curava molto il suo abbigliamento e che un giorno si è presentato un signore che cercava suo genero (l’ingegnere) e lei sentendosi inadeguata si presentò dicendo: “Il Sig/ Cagliostro non è in casa, il suo appartamento di sotto è chiuso e io sono la fantesca”

In effetti Cagliosto Lino e Teresa avevano un alloggio più grande al piano terra ma preferivano stare sopra dai genitori.

 Madama Caldera amava il bel canto, canticchiava pezzi di opere raccontandone la storia e tutte le sere Michelina faticava molto a farla andare via. La spingeva verso le scale ma lei tornava su  a parlare con le “cite” io e mia sorella.

Conobbi man mano le amiche di mia sorella e gli abitanti degli altri piani. A piano terra c’erano Francesca e Vittorio, due persone amabili, senza figli e all’ultimo piano, nella soffitta abitava  la signora Ginetta , una anziana zitella che , con il passare dei giorni e l’inverno che arrivava , ci invitava da lei noi sorelle  e parecchie altre  ragazze ci recavamo da lei sedendoci in una vecchia  “sislunga”  vicino ad una piccola stufa a legna dove immancabilmente bolliva dell’acqua con la quale lei preparava un delizioso “capiller”con limone e zucchero e ce lo offriva in deliziose tazzine  e con tutta la sua gentilezza. Non era solo la stufa e il “capiller” che ci attirava ma era anche la sua virtù nel leggerci le carte.

Per me era la prima volta che assistevo a questo avvenimento in cui lei credeva veramente e le signorine presenti  facevano domande sui loro fidanzati. Lucia chiedeva se  il suo fidanzamento con Fiorenzo sarebbe durato. Germana si informava su Silvano il ferroviere, mia sorella su Ezio l’ingegnere della Mondial Pistoni che  aveva ricominciato a frequentarci dopo averci incontrate un giorno in Via Cernaia e nell’occasione ci invitò (tutti i partecipanti alla passeggiata) a prendere qualcosa in un bar. Considerato da tutti un avvenimento conoscendo la proverbiale avarizia dell’ingegnere.

 La signora della soffitta  era molto raffinata e non era solo  la misera soffitta a  far capire un passato diverso, I pochi oggetti e la sua raffinatezza raccontava di un passato  nobile e il suo viso era illuminato di  ricordi  d’altri tempi.

Peccato che la distinta signorina morì pochi anni dopo e io non ho fatto in tempo a sapere di più su di  lei.

I balconi di fronte appartenevano agli alloggi che davano sulla strada e vi abitavano poche persone tra loro una famiglia con tanti figli.

Al primo piano  un ufficio poi a destra l’alloggio di Lino e Teresa che si adoperò una sera del primo inverno per una fantastica “bagna cauda” , al piano secondo c’era una famiglia di due persone che non ho visto mai e al terzo piano, la famiglia Ciardo, appunto con più figli,  titolari di  un laboratorio di cromatura situato nel cortile  che occupava il marito e i figli più grandi.

Dei ragazzi Ciardo , il più grande faceva il filo a mia sorella e ogni tanto saliva su da noi per stare in compagnia e venivano anche le altre ragazze del cortile.

Carlo era un bel ragazzone dagli occhi chiari e possedeva un mezzo viaggiante (serviva per il loro lavoro) e a volte ci portava a fare un giro per Torino facendomi vedere il corso  molto lungo di Corso Francia. Corso Orbassano che portava e porta a Santa Rita e poi fuori città, Corso Vittorio e in fondo il Valentino. In quelle sere e nell’estate  a venire c’era una stupenda fontana  colorata e danzante al ritmo di una bella musica che si  diffondeva  tra i giardini del valentino da poco rimessi in ordine. Poi questa fontana ha smesso di funzionare  e non so perché.

Carlo non era gradito a Michelina poiché era risaputo che lui aveva una fidanzata ufficiale e secondo lei non doveva frequentare le ragazze del  quartiere.

Io non trovavo disdicevole che Carlo frequentasse la compagnia che era abituato a frequentare da sempre ma forse Michelina non aveva tutti i torti.

Ma torniamo agli abitanti del cortile.

Silvano veniva sempre sopra, con i suoi nove anni e la sua vivacità mi divertiva e poi io , che al mio paese mi ero sempre occupata ei i bimbi del quartiere seguendoli nei compiti trovavo giusto seguire quel bambino molto intelligente ma qualche volta, per seguire i giochi in oratorio don Bosco ( eravamo vicini alla ciesa di Maria Ausiliatrice )  e per  un po’ di pigrizia, arrivava alla sera senza aver fatto il compito per l’indomani  così che con la mamma, saliva al terzo piano da noi, dopo cena, e la mamma, in piemontese mi diceva; “Maria, il cit a l’ha sogn e deve ancora fare il tema. Per favore lo fai tu e lui domattina si alza presto e lo copia!”  Conoscendo il pensiero del bimbo e la sua intelligenza, potevo scrivere il tema senza pensare che a scuola potessero accorgersi di essere stato aiutato. Fu così che vincemmo i vari premi  sui concorsi assegnati: Il libretto della cassa di Risparmio, il premio della centrale del latte e altri ancora allora indetti nelle scuole. Però Silvano vinceva anche i premi dei temi fatti a scuola.

Per questi aiuti  Armida, mamma di Silvano, mi ha regalato un taglio di stoffa azzurra con il quale mia sorella  che lavorava in un importante Atelier di Torino, la “Sanlorenzo”. mi confezionò un bel vestito che io ho impreziosito con un  ricamo in bianco.

Era ancora il periodo che  apprezzavo un bel vestito o qualcosa  di nuovo. A tal proposito ricordo la prima neve di Natale e io già avevo trovato un lavoro. Comprai un paio di stivaletti bianchi, corti alla caviglia che si chiudevano con una cerniera laterale a aveva  le suole di  para. Che felicità!  Volavo con quegli scarponcini comprati per la prima volta con soldi guadagnati da me.

                                                                                  Maria Mastrocola Dulbecco

 

 

Seconda parte


 

PARTE  SECONDA

 

Ero arrivata a Torino per una vacanza e mentre mia sorella andava a lavorare io restavo con Michelina che si dava da fare a prepararci pranzetti speciali. A me piaceva molto magiare pane e burro (venivo da un paese dove il burro non esisteva) poi quel burro era particolarmente gustoso.

Veniva conservato nella ghiacciaia.   Da Michelina come anche nelle altre case allora, non esisteva il frigo ma avevano la ghiacciaia dove riponevano il ghiaccio che compravano da un venditore di passaggio e per un po’ gli alimenti si conservavano.

Alcune mattine mi recavo dai miei zii in via Principessa Clotilde e spesso mio zio mi portava con lui in ufficio. Il suo ufficio era alla prefettura di Torino  in  piazza Castello vicino al teatro Regio, al palazzo Reale e a Palazzo Madama.  Curiosa come sempre mi impadronii di una macchina da scrivere, non l’avevo mai adoperata ma impiegai poco ad impratichirmene tanto che i colleghi di mio zio mi passavano delle pratiche da scrivere e per me era un piacere scrivere con questo aggeggio.

Mi sono fatta dare dei fogli da mio zio e cominciai a scrivere i miei racconti non più con la biro ma a macchina. Ci avevo preso gusto e così tutte le mattine andavo con lui  in Prefettura.  Mi piaceva anche perché assaporavo il piacere di uscire, con lui, alle ore undici per andare a prendere il caffè da Florio il bar frequentato dagli impiegati della zona che era a pochi passi, in via Po. Bar elegante, molto antico e che esiste ancora.

Dopo questo rito si tornava in ufficio.

Accadde che un collega dello zio, una mattina, mi chiese se non era nelle mie intenzioni di fermarmi a lavorare a Torino. Un suo amico cercava una impiegata e secondo lui potevo presentarmi perché il lavoro da svolgere poteva essermi congeniale.

Accompagnata da mio zio ci siamo recati a questo colloquio che avvenne in casa di questo amico ed era  in via Biella via che incrociava con via Brindisi dove abitavo.

Ci accolse una bellissima signora, molto elegante e  gentile che ci ha fatto una ottima impressione,

In modo speciale a mio zio che apprezzava molto le bellezze femminili.

Lei ci spiegò che era un incarico per registrare fatture e svolgere la corrispondenza.

Al mattino dopo mi recai in questo magazzino, in via Piave, dove trovai a ricevermi una signora molto avvenente che mi diede subito qualcosa  da fare,  dovevo scrivere delle lettere ad alcuni fornitori e lei aveva preparato delle minute dove si  esprimeva in maniera molto colorita e la grammatica aveva smesso di avere la sua funzione.

Tutto l’ambiente attorno mi  confondeva, vi erano presenti un ragazzo imbronciato e una ragazza magra ma carina, molto sorridente. Il fatto era che mentre io cercavo di decifrare quelle lettere e le scrivevo a macchina, loro parlavano o meglio gridavano a voce alta parlando uno stretto veneto per me incomprensibile.

A Dio piacendo cercai di tradurre quelle frasi assurde e riuscii a compilare queste lettere secondo il volere della imbellettata signora.

 Terminato le quali glie li lessi ed ottenni l’approvazione della signora. Avevo mitigato le frasi più crude ma venne approvato il tutto, scritto gli indirizzi sulle buste, Pietro il ragazzo che poi era il figlio partì per spedirle al vicino ufficio postale.

Anche la ragazza era sua figlia, poco dopo arrivò il marito che tutti chiamavano il Cavaliere ed era una persona molto curata che parlava un ottimo italiano . E’ arrivato con una macchina di un certo livello ma io non conoscevo le auto e non sapevo distinguere le marche ma mi avvidi che era di pregio.

Nell’insieme, in quella confusione non mi trovai smarrita e non mi spaventai,  anche perché la cosa mi faceva comodo così non si sarebbero avveduti della mia poca preparazione.

Capivo che il  tenore dei loro discorsi a voce alta  erano  di litigi ma non erano fatti miei.

Tornai il mattino dopo e poi ancora.

Alla richiesta di mio zio se mi fossi trovata bene lo riassicurai e ho continuato ad andare.

Tra una, loro lite ed un’altra cominciai a capire anche il veneto e a rendermi conto che la signora stava allestendo un negozio in una zona importante di Torino e presto sarebbe andata via da questo magazzino all’ingrosso dove subentrava il figlio maggiore che era il marito della signora bella ed elegante che avevo conosciuta con mio zio in via Biella.

A tutta quella confusione subentrarono il figlio maggiore e sua moglie.

Tutto diventò diverso. Io e la signora Ada  andavamo molto d’accordo, il marito andava a vendere i gli articolo  di ceramiche ai fioristi e altri negozi e tornava nel pomeriggio portando gli ordini delle quali preparavo le fatture e lui con l’aiuto di un ragazzo preparava gli oggetti da consegnare a il giorno dopo.

Io e Ade, visto la giovane età mia e sua, lei aveva quattro anni più di me , avevamo molto appetito ed eravamo ottime clienti di una panetteria a fianco e oltre alla pizza facevamo grossi panini ripieni di mortadella e li mangiavamo con gusto e risate.

Ridevamo molto al passaggio di un “barbone” che passava sulla strada tirando un carrettino dove aveva il suo guardaroba e tutto il suo avere (credo disdegnasse un alloggio) e guardandolo passare dicevamo, chissà se anche noi faremo la stessa fine …

 Le discussioni si ripetevano ogni qualvolta la signora padrona precedente (suocera della Adelina) veniva a prendere oggetti per il suo nuovo negozio e non si capiva se andavano fatturati ma certamente non li pagava e non aveva nessuna importanza se non venivano detratti dalla merce  in deposito magazzino.

Tanto non si capiva niente, il tempo trascorreva e in qualche modo si pagavano le tratte che arrivavano con gli incassi della giornata.

Raccontare questo andazzo sarebbe lungo e complicato ma io cominciai a preoccuparmi per i pagamenti di fine mese tanto da patirne come se fossero stati impegni miei.

Il cavaliere si dava da fare per escogitare nuove entrate da devolvere alla moglie che si adirava con lui rivolgendogli invettive quando non era soddisfatta.

Tutte questa notizie ci giungevano tramite telefono linea molto attiva in quel magazzino.

A queste sfuriate seguivano mattinate di calma e  chiacchiere liete con la Adelina che aveva un bambino di due anni che era guardato, a casa, da una beby-sitter.

Il Cavaliere si trovò a comprare una fabbrica di ceramiche ad Albisola mare,  patria di famose ceramiche.

Rilevò un patrimonio interessantissimo e naturalmente tutti i pezzi più importanti finirono nel negozio di Via Milano che rendeva molto e lo gestiva da sola la signora Nana (chiamata così dal marito  per un diminuitivo di Giovanna)

Una frase che mi è rimasta in mente era quella che il cavaliere rivolgeva a sua moglie quando voleva calmarla: “Nana sta brava”

Non credo che queste persone si fossero rese conto di cosa avevano trovato ad Albisola. Il precedente proprietari ospitava artisti  molto in voga nel periodo e che in questa fabbrica andavano per sperimentare le loro opere d’arte. Tra questi vi era il famoso Lucio Fontana. (Per intenderci quello famosissimo delle tele con i tagli) che provavano le loro opere e lasciavano molti pezzi prova.

Il Cavaliere con i suoi figli adoperavano questa fortuna per farne regali a persone importanti o che prestavano loro del soldi.

Ho visto passare piatti di Fontana ed altri regalati con una facilità estrema. Oggi valgono una fortuna ma anche allora erano già apprezzatissimi.

Questa famosa fabbrica di ceramiche, il Cavaliere decise di trasportarla a Torino a allo scopo affittò un grande magazzino a Settimo torinese (diciamo periferia di Torino).

In men che non si dica, tutta questa attrezzatura vasche torni e soprattutto forni vennero trasportati e istallati a Torino.

Fu così che mi ritrovai ad essere l’impiegata unica di questo enorme complesso.

Quanta meraviglia nel vedere questi forni e assistere alle creazioni di oggetti con questo materiale che a me sembrava fango e per magia si trasformava in splendidi oggetti.

Il cavaliere e sua moglie si recarono nel veneto e tornarono con un gruppo di persone provetti ceramisti ai quali assicurarono uno stipendio adeguato e fornito loro alloggi abitazioni.

Questi operai comprendevano un esperto modellatore di oggetti artistici. Esperti di miscele per materiale occorrente a realizzare statue e vasi artistici tanto che la ditta fu intitolata. Ceramiche Artistiche.

In quel lungo magazzino avevano trovato posto i tre forni e all’ingresso vi era una stanza occupata da una scrivania per me e di fronte un’altra dove spesso si fermava il cavaliere.

La fabbrica iniziava con lo spazio dedicato all’artista che  inventava le opere, poi di seguito vi trovavano posto due tornitori che facendo girare il tornio ed  eseguivano vasi, portaombrelli e altri oggetti che quelle sapienti mani sapevano creare adoperando quella argilla. le mani i piedi che azionavano quel tornio dove spuntavano come in un miracolo  oggetti stupendi che venivano poi cotti al forno e al mattino da quelle bocche  spente dal fuoco uscivano oggetti divenute bianche.

Una serie di ragazzine erano poi intente a dipingere questi oggetti che venivano poi nuovamente cotte in quei forni e le pitture rimanevano impressi in quelle ceramiche.

Alcuni oggetti erano finiti con questo procedimento ma altri venivano impreziositi con rifiniture in oro zecchino e poi rimessi in forno per la definitiva cottura .

Gli oggetti scelti venivano inseriti in un catalogo numerato fino a creare un campionario di almeno cento oggetti che venivano fotografati formando un catalogo da presentare, per la vendita, a negozi di casalinghi e fiorai.

Continuerò a raccontare premettendo numerose evoluzioni e accadimenti in questa fabbrica dove ho imparato a districarmi in tutte le incombenze amministrative.

                                

                                                               Maria Mastrocola Dulbecco

 

 
Foto dell'epoca

venerdì 27 novembre 2015

MIEI SCRITTI

     
La zia monaca
e lo sparo di nonno Cesare
 di Maria Mastrocola Dulbecco
Io so di aver avuto una nonna speciale
                    (Il castello di Monteodorisio)

Nonna Caterina era nata il 21 Luglio 1886 a Monteodorisio (CH), quindi all'alba del novecento aveva già 14 anni, e mi affascinava sentirla raccontare come si era svolta la sua vita in particolari momenti.
Mi raccontava del suo vivere da ragazza di buona famiglia che si doveva attenere a certe regole, della sua vita di fanciulla in quel suo piccolo paese aristocratico, arroccato su una collina, del castello di Maria Giovanna dove si scorgeva,  sinuoso,  il Sinello e sotto, il dirupo, che era fonte di preoccupazioni e pericolo di frane.
Aveva tre fratelli ed era la più piccola nella famiglia, oltretutto la sola figlia femmina.
I suoi fratelli,  Nicola, Riccardo e Enrico, la proteggevano . Io li ho conosciuti tutti e tre come pure i loro figli.
La nonna mi raccontava sempre di una sua zia "monaca", la quale aveva provveduto alla sua educazione, a procurarle i vestiti che faceva arrivare direttamente da Napoli (si era ancora sotto la dominazione borbonica), alle abitudini del tempo e tante altre storie molto interessanti.
La zia monaca era ritornata a Monteodorisio da un convento napoletano, requisito dai Borboni,  dal quale le suore erano state mandate via, ognuna facendo ritorno al paese d’origine, con un vitalizio governativo.
Dopo il ritorno, la zia monaca, aveva mantenuto i contatti con Napoli, così che continuava a far vestire le nipoti dai sarti di quella città.  A casa veniva a pettinarla una donna con il “rollo”, formato dai capelli e da un rotolo dove venivano avvolti  (di questa sua acconciatura avevo una splendida foto dell’epoca con un vestito speciale. Cercherò di recuperare la foto).
La nonna mi raccontava anche del suo fidanzamento con nonno Cesare.
Mi diceva che il loro matrimonio era avvenuto per uno sparo. Precisamente, come si usava a quei tempi, la richiesta era stata fatta ai genitori e ai fratelli, i quali non vedevano di buon occhio che dovesse trasferirsi in un altro paese, Cupello, forse a due chilometri di distanza, e così avversarono la richiesta di questo innamorato.
L'innamorato respinto non si perse d'animo ed escogitò un sistema per non farsi dire: no.
Successe che Nonna Caterina sostava spesso,  forse a ricamare, vicino alla finestra che dava verso il Sinello, dove si affacciava per ammirare il panorama e a fantasticare. Una sera, mentre all'imbrunire era in questa piacevole occupazione, il giovane Cesare passò di lì e con il suo fucile da cacciatore sparò verso o a fianco di quella finestra, così da compromettere la fanciulla, come a segnare un possesso: questa ragazza deve essere mia. 
Tutto il paese , in breve, fu al corrente della cosa e quindi la giovane compromessa. Inevitabile fu da parte della famiglia e sopratutto dei fratelli, accettare il fidanzamento in casa e permettere che questa adorata sorella cambiasse paese.
Cominciarono i preparativi e naturalmente fecero la conoscenza con la famiglia di lui. Avvenne così che i matrimoni diventarono due poiché Nicola, uno dei fratelli di nonna, si innamorò di Domenica, sorella di Cesare, e così si fidanzarono anche loro.
I preparativi furono all’altezza delle due famiglie. Quella di mia nonna più signorile, come allora erano  considerati gli abitanti di Monteodorisio e più contadini gli abitanti di Cupello.
Per preparare la dote ci si recava a fare acquisti a Vasto, ma per arrivarvi  bisognava passare per il paese dello sposo e la sposa non doveva vedere il paese prima del matrimonio. Per evitare questo, nell’attraversare Cupello, venivano tirate giù le tendine dei finestrini della carrozza in modo che la sposa non potesse vedere il paese e né poteva essere vista dai suoi abitanti.
A quei tempi, come usanza, si cercava di non dividere le proprietà terriere, che spettavano ai figli maschi, così che la dote data alla figlia femmina consisteva in danaro e biancheria. Se ricordo bene la nonna mi parlava di quattromila ducati  (non ho idea di quanto possano essere attualmente quantificati)
Il matrimonio avvenne e la nonna si trasferì a Cupello dove la chiamavano la signora. 
Mi raccontava del suo integrarsi nella nuova famiglia e dei personaggi singolari della stessa. Le cognate nubili si facevano consigliare da lei per i vestiti e la pettinatura.
Mi incantavo ad ascoltare le sue storie. Peccato  non  disporre, allora, di un registratore,  che non esisteva, ed ora i miei ricordi sono frammentari. Mi dispiace molto non ricordare tutto.
Io la ricordo sempre vecchia eppure quando sono nata io, lei aveva solo 48 anni. 
Lei, dopo la morte del marito avvenuta in America nel 1918 (ho una foto della  tomba di nonno Cesare a Rochester e so che esiste ancora, i parenti me lo hanno inviato dieci anni addietro), aveva indossato un vestito nero e legato un fazzoletto, sempre nero, in testa.  
Lo toglieva solo per pettinarsi.  
Nei miei ricordi è rimasta sempre uguale, fino ai suoi 75 anni. Quando è mancata io ero già a Torino.
Era il giorno della Befana ed ho fatto il viaggio in treno sperando di trovarla ancora viva.
                                                                                        Maria  Mastrocola Dulbecco


martedì 24 novembre 2015

Un nuovo amico de il "Laboratorio di scrittura RIVOLI

24/11/2015

Poesie del nuovo amico de il "LABORATORIO DI SCRITTURA" Zecchin Silvano

[mod]  [del]


Frammenti di vita

Seduto sulla riva del fiume,
Osservo il luccichio dell’onda,
Che illuminata dalla luna
Verso il mare scivola via
Come i bei giorni della vita tua.
Alzo gli occhi e vedo le stelle,
Cristalli lucenti che brillano al buio
Danno colore alla mia notte ,
Ma, come le gocce di rugiada
Svaniscono all’alzar del sole.


Chiudo gli occhi.

Frammenti di vita come finestre
Scorrono veloci nella mia mente,
Rivedo mio padre che mi tiene per mano
Seduto al mio fianco tra fame e speranza
Mi racconta del domani che verrà.
In questa fredda notte
Con tante stelle nel cielo
Penso a mio padre
Lo aspetto in silenzio
Anche se so che non tornerà

Zecchin Silvano

mercoledì 18 novembre 2015

AVETE ANCORA DEI SOGNI ?


Avevo suggerito questo tema e vi faccio conoscere i loro pensieri:

Avete ancora dei sogni?

 Come è bello sognare, la tua immaginazione spazia in qualsiasi luogo, vai su Marte e saluti i marziani, su qualche altro pianeta, magari, ti fai delle amicizie. Sogni luoghi magnifici sulla Terra e perché non immaginarsi di essere per un po’ Robinson Crusoe. Poi cresci, la fantasia si attenua e i sogni cambiano. Si inizia a sognare un po’ meno per se stessi, e più per altri, come per la tua famiglia e la società in genere. Ora sogno un mondo migliore, dove tutti siano trattati bene, sia per loro capacità, che colore della pelle, o della loro differente provenienza. Sogno un mondo senza guerre, perché sono troppe: a causa di personaggi con potere, e che per aumentarlo o mantenerlo fanno stragi, in cui soffrono tutti sia vecchi che bambini, tutta l’umanità. Sogno un mondo senza ammalati, dove tutti stiano meglio. Sogno un mondo dove tutti sono onesti, ottimisti, pronti ad aiutare il prossimo. Sogno che avvenga finalmente un grande miracolo che possa veramente cambiare questo mondo. Concludo con un pensiero ottimista, sono sicuro che dopo di noi la società reagirà e sarà migliore. Devo ricordarmi di andare ad acquistare due cose al supermercato! Busso Roberto Molto dettagliato il sogno di Giuseppe Roccati SOGNI A NAPOLI IL DECUMANO inferiore correva nelle viscere della terra in direzione est/ovest. Era l'antica delimitazione della civitas l'antica città romana. e prima ancora della Neapolis la “nuova citta' greca. A Napoli vi e' l' esempio lampante. Se si scende giù di trenta metri sotto ai suoi settecenteschi palazzi angioini (spagnoli ) ancora se ne trova traccia. Parte da p.za Bellini il centro storico di Napoli ai piedi della collina del Vomero, e va giù' diritto lungo via dei Tribunali sino a incrociarsi col Duomo ove vi sono le spoglie di S.Gennaro. Al di sopra di essa pulsa la vita febbrile della Napoli odierna. Motorette da tutte le parti sfrecciano. Bisogna ingegnarsi ad attraversare con gli occhi chiusi con una mano che supplica di fermarsi. Nella Napoli storica vi e' un immenso incrocio di vicoli e vicoletti .Negozietti . tutti con la stessa paccottiglia per i turisti , decalcomanie , calamite da appendere sul frigo ,. Corna in profusione contro il malocchio. Vedute del Vesuvio che sbuffa fumo su Pompei . Pulcinella piccoli o enormi che fanno sognare i bambini. Alimentari con gli alimenti esposti fuori . E, il pane “ cafone ““ (comune) tenuto fuori caldo in apposite vetrinette riscaldate. Il sogno della gente seplice. Pizzerie dove si fa la coda per entrare e dove dopo aver dato il nome ti chiamano con l'altoparlante, quando e' il tuo turno. Tipo quella di “Sorbillo”. Dove la pizza Margherita rinforzata con provola e mozzarelle di bufala e'' un vero capolavoro di ingegneria. Trabocca dal piatto . Tanto che l'ho fotografata e me la sono sognata ancora per due giorni al mio ritorno. Se poi vuoi assaggiare ,una buonissima pizza “aristocratica” a Napoli ti tocca però inerpicarti nel rione Sanità, in un vicolo chiamato Materdei . Ed ecco spuntare la pizzeria “Starita.”, e' li dal 1901. Dove ,cliente abituale vi e' l'ex Presidente della Repubblica Napolitano E, accanto a quel forno a legna hanno girato il film “l 'Oro di Napoli “ (1954) con la procace Sofia Loren in vesti di pizzaiola. Gli Starita hanno aperto anche due pizzerie negli Stati Uniti una a New York, un'altra ad Atlanta dice una locandina. Anche loro hanno coronato il loro sogno. Puoi prima della pizza puoi cominciare con gli angioletti che sono degli antipastini fritti di pizza caldi. E poi immergerti nel sogno di una pizza montanara di provola pomodoro e formaggio oppure con le corna di Maradona di ricotta e ciccioli. Uscito da li sei però nel quartiere Sanità con immondizia dappertutto e non e' raro che qualcuno ti chieda un euro. Se poi vai davanti al Duomo di Napoli ci puoi trovare un ragazzo all'apparenza disabile che ti “regala” un intreccio di cornetti e tu gli dai poverino... un euro. Anche lui ha coronato il suo sogno Al fondo di Via dei Tribunali ci sono due donne che si sono improvvisate commercianti. Su un trespolo tengono in bella vista dei rotoli di carta igienica appiccicati ad un piccolo cartello su cui c'e' scritto Juve di m....a e tu gli dai due euro per regalarla al tuo amico che e' del Toro perché. possa finalmente coronare il suo sogno. Un altro ragazzo ti mette una cocorita in mano . “ Pasqualina “urla . E la cocorita ubbidiente vola nella sua mano a prendere una schedina del lotto dove vi sono tre numeri sulla ruota di Napoli. E così ti regala il sogno di vincere un terno , e nella mano vuota gli metti un euro. Giri l'angolo e ti ritrovi un altro ragazzo che ti rifa' il giochino con “Gennariello” un'altra cocorita però maschio altro sogno altro euro Le schedine della cocorita , pensi che siano fortunate corri a giocarle al botteghino del lotto. Ve ne sono per lo meno tre nel raggio di 200 metri a Napoli. E il sogno di aver vinto un bel terno te lo porti però a Torino. Senti poi un profumino di caffe' tostato, nell'aria. Ti avvicini E'un minuscolo bar torrefazione ti appare,. Sull'insegna vi eé Bar MEXICO . Il caffe' te lo danno gia' zuccherato sembra sia la tostatura più lunga del normale e l'acqua di Napoli priva di calcare che fa si che tua moglie ne sogni un altro e lo ordini appena finito il primo. Se, poi scendi giù lungo via Toledo la via più “in” di Napoli che sfocia in p.za Plebiscito, la p.za S.Pietro dei Napoletani per la sua ampiezza. E giri a destra in p.za Vittoria scendendo giù per la Riviera di Chiaia. Ecco apparirti un negozietto sul lungomare che e' li da tre generazioni da quasi cent'anni. In una vetrinetta espone profumi orologi sciarpe e una miriade di cravatte. Cravatte anche all'interno . Sei entrato nel tempio della cravatta artigianale di lusso da “Marinella” Te ne propongono centinaia e tu ne scegli una rigorosamente non regimental azzurra cupo . Quant' e ? chiedi alla signora, moglie del terzo rampollo della dinastia. =100 Euro la risposta. Tua moglie che non si e' osata entrare sbircia da fuori . Tu esci trionfante con la tua bella cravatta da regalare a tuo figlio. Altro sogno che si avvera a Napoli. Il giorno dopo con la Metropolitana sei al Maschio Angioino. vicino al porto. Un superbo castello in riva al mare dove incontri per caso in una sua saletta riservata una sposa che contrae matrimonio civile con un < a prima vista> aristocratico e “pare” danaroso napoletano. Una Ferrari , infatti e' l'auto che attende la sposa. In questo caso e' la sposa che ha coronato il suo sogno. Il giorno dopo riparti per Torino con Italo Treno come ci sei arrivato, e scattando un selfie con tua . moglie, non puoi non pensare che Napoli e' una citta' che vive ogni giorno del sogno dei suoi turisti e che i napoletani “ sanno vivere “ immersi nel loro sogno
                                                              
 Giuseppe Roccati

martedì 17 novembre 2015

Corso di scrittura unitre


                                 CORSO DI SCRITTURA UNITRE

 

E' un gran caos!

Il primo incontro del corso di scrittura presso l'Unitre di Rivoli è tutto un gran vociare. Si rivedono i vecchi corsisti tra abbracci e baci. L'età media si colloca più o meno tra i 65 e i 70 anni. Credo che il più giovane difficilmente possa collocarsi nella categoria degli under 60.  Siamo una quindicina, dieci donne e cinque maschietti. La docente, una signora over 80, dai capelli biondo-canarino, è un tipino al peperoncino. Ha esordito dicendo che gli uomini hanno l'obbligo di salutarla ad ogni incontro con un bacio, ”...perché non è vero che gli uomini sono poco romantici...”. L'emozione la invade quando legge una nota con la quale ripercorre i nove anni di conduzione del corso, augurandosi di portare a compimento anche il corrente anno, esprimendo nel contempo apprezzamento dei corsisti dai quali ha tanto ricevuto.

Pensieri, emozioni, idee originali, sensazioni speciali hanno caratterizzato i lavori prodotti nell'anno accademico appena trascorso. La festosità dei presenti si attenua pian piano fino a trasformarsi in silenzio.....Un silenzio di attesa: inizia la lettura dei brani del giornalino n° 13 anno ottavo.

Vita torinese 1954 è il racconto dalla docente Maria, letto con voce maschile, pacata ma calda, ci fa rivivere le atmosfere di  una Torino che non c'è più, ma che, man mano che la lettura procede, palazzi balconi vicolo angoli colori, odori torinesi si affacciano alla nostra memoria, persino nella mia, visto che sono arrivato a Porta Nuova, dalla lontana Sicilia solo nel novembre del '68: ho provato emozioni forti quasi da vecchio torinese.

Il suono di una campanaccia da pascolo richiama all'ordine, a suonarla con autorevole determinazione è Maria, sempre sorridente.

Prosegue la lettura di racconti e poesie da parte degli autori, prevalentemente si tratta di storie personali, ricordi, emozioni non sopite, ora rivissute nella narrazione declamata.

C'è fermento vita allegria: un bel gruppo di narratori e poeti.

                                                                 

                                                                                 Antonio CAMPIONE

 

 


venerdì 13 novembre 2015

Abbiamo ancora dei sogni?


ABBIAMO ANCORA DEI SOGNI?

Se, come dice il proverbio, chi dorme non piglia pesci, non è forse più che plausibile dire che chi non dorme non sogna? Ma più che di sogni ad occhi chiusi, proverò ad interrogarmi sui sogni ad occhi aperti. Non certo di quelli cosiddetti campati in aria. No, è dei sogni veri, della capacità di fare progetti che tenterò di parlare.
Se sognare significa progettare, avere uno sguardo rivolto al futuro, questa facoltà non può che essere appannaggio di tutti. Di sicuro in questo campo primeggiano artisti, poeti, architetti..., nonché la nutrita schiera di idealisti, pensatori, filosofi, scienziati, politici. Diceva Lenin, il padre della rivoluzione bolscevica, che bisogna sognare, mentre è di Martin Luter King la famosa frase Io ho un sogno.
Coltivare un ideale di uguaglianza, immaginare un mondo basato su libertà e fratellanza, amore del prossimo e giustizia, è roba di secoli e millenni di storia, a prescindere dal fatto che, chi lo sogna questo mondo possa un giorno farne parte, viverlo in prima persona.
Ma la domanda “abbiamo ancora dei sogni?” ha un significato diverso, perché rivolta ad un gruppo di persone di terza e quarta età.
E allora formuliamola meglio: è ancora possibile avere dei sogni alla nostra non più tenera età? Sogni nei quali essere protagonisti o semplicemente spettatori più o meno attivi?
Avere dei sogni implica necessariamente un atteggiamento propositivo. Negli anni della giovinezza il sogno accompagna quotidianamente ciascun individuo. Continuare a coltivarli ad età avanzata significa non solo rimanere fermamente legati ad una realtà veloce e mutevole, ma proiettarsi decisamente verso il futuro. E' come se uno dicesse :”...è vero, si può morire in qualsiasi momento, oltretutto la fine dei giorni è un dato ineluttabile; ma chi lo dice che non potrò campare per tanti altri ancora? E se così sarà, allora mi piace prefigurarmeli quegli anni.
Se sono un sessantenne, ed ho uno o più nipotini di pochi anni, è più che lecito pensare:”chissà come saranno da grandi? Ci sarò ancora quando andranno alle superiori...., al loro diploma..., alla laurea...? riuscirò a diventare bisnonno?” Oppure: “mi piacerebbe tanto vedere un giorno arrivare la metropolitana a Rivoli centro, e magari riuscire a farci qualche viaggio; e, perché no?, incrociare la linea 2 ed arrivare fino a San Mauro.”
E se di anni se ne hanno ottanta? Ricordo che mio suocero da poco ottantenne diceva :”Mi piacerebbe vivere ancora quattro-cinque anni” E' come dire: progetto a piccole dosi...ho dei sogni a breve scadenza. Poi lui è arrivato a un passo dagli ottantanove.
Sì, i sogni non ci abbandonano mai.....O, forse, è meglio dire che siamo noi che cessiamo di avere sempre dei sogni.
Come dice Shakespeare “Gli uomini sono fatti della stessa sostanza dei sogni.”

Antonio Campione
SOGNO


Sogno, il sogno evanescente,
che è nato dal mio cuore,
e lo fa di desiderio palpitare,
e a lungo sognare,
la speranza che alberga,
e che la vita fa andare.
Sogno, il sogno che è la vita,
una geometria complicata,
un castello di fumo,
un esile pianta sbattuta
dal vento degli eventi,
che vorrebbe ma non può,
perché è solo un sogno,
una speranza, comunque,
e cosi deve rimanere tale,
come una fiamma,
che ci scalda il cuore,
perché è bello sognare,
a volte per dimenticare,
ma soprattutto per ricordare,
la dolcezza che un sogno
ci può donare.

Mara Massaro