Per Pasqua vi regalo il primo capitolo del mio libro, La Speranza non muore mai. Spero che vi piaccia.
Capitolo I
Il rapimento
Olla giocava da sola, sulla strada gialla e polverosa di un piccolo sobborgo di Socha, che in quel momento era deserta. Il sole rovente, rinsecchiva gli steli d’erba lungo la strada, si sentiva soltanto volare qualche calabrone. Da qualche parte risuonò il rintocco della... campanella delle tredici e trenta.
Il caldo torrido si spandeva dovunque, avvolgeva il paese in una cappa impenetrabile, ogni tanto un alito di vento alzava la sabbia, dando un’immagine ancor più arida del luogo.
Gli schiamazzi delle case lontane arrivavano fino a lei, la rassicuravano e lei si sentiva avvolta come in una calda coperta, la nutrivano, erano musica per lei che, fin dalla più tenera età, viveva più per strada che non a casa sua: la mamma non c'era mai, sia quando lavorava, sia quando era a casa. Era sempre troppo stanca per darle retta.
Ma Olla sapeva che le voleva un mondo di bene, perché quando era contenta, la coccolava stretta a sé, sussurrandole dolci parole, che Olla ricambiava con mille attenzioni, per alleviare le sue giornate così pesanti, specialmente dopo la morte della nonna, che era stata un grande aiuto per loro, un vero punto di riferimento.
«Devo disegnare la mamma con il mantello azzurro, gli occhi neri e anche i capelli neri, come la Madonna» diceva fra sé, mentre per l’impegno, storceva il nasino coperto di lentiggini, e la bocca assumeva una piccola smorfia.
«Devo finirlo in fretta, prima che la mamma arrivi, così quando passa lo vede e sarà contenta; devo ricordarmi anche la promessa, di scaldare la pietanza» pensava.
Ad un tratto la sua attenzione fu rapita dall’arrivo di un furgone bianco, dal fondo della strada, andava piano, stranamente lento, ma quello che colpì l’attenzione di Olla era il disegno raffigurato sul davanti. «Che bello!» pensava, «è un dragone, che lancia fuoco e fiamme, è bellissimo.»
Olla s’era incantata a guardarlo, non s’accorse che il furgone s’era fermato accanto a lei e nemmeno che qualcuno era sceso, quando all’improvviso si sentì afferrare.
«Lasciatemi, lasciatemi» urlò con tutto il fiato che aveva in gola. Cercò con lo sguardo aiuto, ma in quel momento la via era deserta, poi fu tutto buio e non capì più nulla. Si svegliò all’ improvviso sballottata di qua e di là, era tutto nero, c’era tanto buio intorno a lei, avvertiva altre presenze, sentiva i loro respiri, il calore dei loro corpi, non li vedeva, voleva parlare, ma la paura la bloccava, sentiva voci d’altri bambini.
«Dove mi hanno rinchiusa?» si chiese con sgomento, mentre sentiva salire dentro di lei un terrore profondo che le faceva venire male allo stomaco.
«Chissà, forse sono stati presi come me, ma perché?» pensò, mentre percepiva intorno a lei la paura che saliva nel loro pianto sommesso.
Con le mani, a tentoni, cercò intorno a sé cercando d’abituare la vista alla scarsa luce che filtrava. Sentì braccia, gambe, qualcuno che l’allontanò in malo modo.
Un caldo opprimente rendeva quel luogo una bolgia infernale, Olla aveva la sensazione di soffocare, quel’aria viziata era insopportabile.
«Quanto vorrei essere a casa, al fresco, in cucina con la limonata che la nonna mi preparava sempre al pomeriggio» pensava.
«Cosa sta succedendo, dove siamo?» si chiedeva Olla, che non capiva perché l’avessero presa. «Per quale motivo?» si chiedeva, e non sapeva rispondere a questa domanda, mentre nella sua piccola mente mille pensieri passavano, come nella sequenza di un film assurdo.
Cercava delle risposte, credeva d’impazzire. «Forse è un sogno» pensava, tappandosi le orecchie, ma quando toglieva le mani, ritornava alla realtà che voleva rifuggire.
«Anche voi siete stati presi?» chiese a voce alta, per sovrastare il rumore del furgone in viaggio.
«Di dove siete voi?» domandò, ma uno scossone più forte degli altri li mandò a gambe al’aria, e nessuno le rispose, troppo occupato a rizzarsi. Olla pensò: «Forse nessuno ha voglia di parlare con me». Erano tutti così abbattuti, spaventati, non insistette, sebbene stranamente avesse tanta voglia di parlare con qualcuno.
«Sì, hanno preso anche noi, per strada, davanti alle nostre case» risposero più voci. «Chissà cosa vorranno da noi» chiese un altro bimbo.
«Voglio tornare a casa» cominciò a piagnucolare una bimba, dando inizio a tutto il gruppo: pianti forti, disperati, poi sommessi, inframezzati da violenti singhiozzi.
Anche Olla, contagiata dalla tristezza, si mise a piangere pensando alla mamma. «Adesso mi starà cercando, povera mamma» pensava «io non volevo darle un altro dispiacere dopo la morte della nonna, ma come potevo sapere? E adesso, mi manca così tanto!»
Di nuovo divenne tutto buio, era svenuta un’altra volta, per il gran dolore che il suo cuore aveva provato nel pensare alla mamma.
Al ’improvviso, nella sua mente apparve un dragone enorme, sputava fuoco e fiamme lunghissime… «Ah, brucio» pensò e di colpo si svegliò. «Era solo un sogno, meno male, ma sono ancora qui rinchiusa insieme a chissà quanti altri bambini» disse fra sé angosciata.
Al risveglio, così improvviso, s’aggiunse la sensazione che avvertì su di lei: il peso di alcuni bimbi che le erano caduti addosso durante una curva.
«Sballottati in tutte le direzioni, in quel modo, era un vero miracolo che non si fossero ancora fatti male» pensava, mentre cercava di spostarli nel buio che la circondava.
Ad un tratto sentirono una brusca frenata, che li scaraventò tutti in fondo al furgone, ammucchiandoli. A Olla sembrò d’essere presa in un vortice, sbatté la testa e non capì più niente, come se fosse stata investita da un uragano.
Volarono per aria gli uni sugli altri, tra le urla disperate di dolore di chi rimaneva schiacciato. Il furgone carambolò su se stesso due volte prima di schiantarsi contro un albero, con gran rumore di ferraglia, il portellone posteriore nello schianto si spalancò e molti di loro volarono fuori come pupazzi senza vita, su di un prato in discesa.
Un silenzio spettrale copriva tutto, come una gelida coltre, il fumo acre si diffondeva nel’aria, Olla si svegliò, non capiva per quanto fosse rimasta priva di sensi, muta dalla paura si sfilò con fatica, aveva male alla testa, uscì da sotto il corpo d’un bambino meno fortunato di lei, che ormai dormiva inerte.
L’odore acre le bruciava gli occhi, aveva male a un braccio e guardandolo s’accorse della ferita che il bambino sotto di lei aveva sulla testa, che sanguinava e per un attimo rimase lì incantata a guardarlo. Non aveva mai visto qualcuno sanguinare così tanto, l’unica volta era stata quando s’era tagliata il dito mentre pelava le patate. «Quanto mi ero spaventata» ricordava.
Poi si riscosse, cercò d’aiutarlo, non sapeva però cosa fare. Un ragazzino le diede un pezzo di stoffa che aveva strappato dal’interno del furgone, cercò di tamponare la ferita, ma un’ondata di calore tut’un tratto li investì, facendoli arretrare e si ritrovarono aggrappati l’un l’altra, un po’ per lo spavento e un po’ per ripararsi.
Il fragore d’uno scoppio, aveva fatto esplodere l’inferno, le fiamme alte lambivano pericolosamente tut’intorno, una nuvola di fumo s’alzò alta, poi un leggero venticello venne pian piano a diradarlo, lasciando nel’aria un odore acre, nauseabondo.
Olla s’accorse d’essere in mezzo alla campagna, accanto a un bosco. Per quel bambino purtroppo non c’era più niente da fare. Le venne una gran tosse per quel fumo, si guardò attorno incredula, era un incubo, l’avrebbe ricordato per il resto della sua vita! La testa le faceva male, si sentiva come imbottita, i rumori erano così lontani, si toccò le guance bagnate e s’accorse che stava piangendo.
Altri bambini s’erano alzati indenni come lei e vagavano come imbambolati in mezzo ai feriti che si stavano svegliando e si lamentavano per il dolore, mentre molti altri giacevano morti tut’intorno a loro, sparpagliati, su quel prato, come in un’immagine di guerra.
Un bambino un po’ più grande di loro, dallo sguardo spavaldo, che le aveva dato poco prima il lembo di stoffa, le si avvicinò, la squadrò, poi parlò con durezza, rivolgendosi a tutti «io ho salvato la pelle, e tutto sommato ringrazio questo incidente che mi permette di scappare e tornare al mio paese, ma tutti quanti voi dovreste fare altrettanto, se siete furbi, prima che arrivi la polizia, di quelli non ci si può fidare!»
Poi si rivolse ad Olla e quasi sottovoce, le parlò: «Anche tu, se vuoi venire con me, seguimi, dobbiamo stare lontani per un po’ dalle strade e prendere per i sentieri di campagna, poi alla prima città grande ognuno per sé» disse brutalmente, poi si girò di scatto e se ne andò.
«E gli altri, tutti quelli che sono feriti, non possiamo lasciarli qui da soli, dobbiamo portarli con noi!» Gli urlò dietro, Olla.
«Se pensi di farcela a curarli tutti e a spostarli, fai pure, accomodati, io non ce la faccio, quindi me ne vado, prima che arrivino a riprendermi.» E senza scomporsi, deciso, s’incamminò.
Olla rimase allibita di fronte a quel discorso, ma nello stesso momento capì che il bambino aveva ragione, nel suo crudo ragionamento, la verità appariva inesorabile come una scure che ne salva alcuni e taglia via la vita agli altri, decidendo in pochi attimi il destino di molti di loro.
Olla guardò stupita quel bambino per quel modo che aveva di comportarsi da adulto poi, senza girarsi, perché provava troppa pena per quelli che rimanevano, s’incamminò.
«Sono troppo piccola per poterli aiutare» pensò, poi cercò d’allontanare il pensiero.
A fatica, anche altri bambini che avevano ascoltato, si unirono a loro: sei bambini cominciarono a correre dietro a lei e a quel bambino-adulto, in fondo non sapevano dove andare e nemmeno cosa fare, per loro, sembrò la cosa più naturale del mondo seguire quel ragazzino che sembrava così sicuro di sé, sebbene non lo conoscessero, con loro condivideva quella tragica avventura e si fidarono di lui e di Olla, istintivamente. Altro...
Capitolo I
Il rapimento
Olla giocava da sola, sulla strada gialla e polverosa di un piccolo sobborgo di Socha, che in quel momento era deserta. Il sole rovente, rinsecchiva gli steli d’erba lungo la strada, si sentiva soltanto volare qualche calabrone. Da qualche parte risuonò il rintocco della... campanella delle tredici e trenta.
Il caldo torrido si spandeva dovunque, avvolgeva il paese in una cappa impenetrabile, ogni tanto un alito di vento alzava la sabbia, dando un’immagine ancor più arida del luogo.
Gli schiamazzi delle case lontane arrivavano fino a lei, la rassicuravano e lei si sentiva avvolta come in una calda coperta, la nutrivano, erano musica per lei che, fin dalla più tenera età, viveva più per strada che non a casa sua: la mamma non c'era mai, sia quando lavorava, sia quando era a casa. Era sempre troppo stanca per darle retta.
Ma Olla sapeva che le voleva un mondo di bene, perché quando era contenta, la coccolava stretta a sé, sussurrandole dolci parole, che Olla ricambiava con mille attenzioni, per alleviare le sue giornate così pesanti, specialmente dopo la morte della nonna, che era stata un grande aiuto per loro, un vero punto di riferimento.
«Devo disegnare la mamma con il mantello azzurro, gli occhi neri e anche i capelli neri, come la Madonna» diceva fra sé, mentre per l’impegno, storceva il nasino coperto di lentiggini, e la bocca assumeva una piccola smorfia.
«Devo finirlo in fretta, prima che la mamma arrivi, così quando passa lo vede e sarà contenta; devo ricordarmi anche la promessa, di scaldare la pietanza» pensava.
Ad un tratto la sua attenzione fu rapita dall’arrivo di un furgone bianco, dal fondo della strada, andava piano, stranamente lento, ma quello che colpì l’attenzione di Olla era il disegno raffigurato sul davanti. «Che bello!» pensava, «è un dragone, che lancia fuoco e fiamme, è bellissimo.»
Olla s’era incantata a guardarlo, non s’accorse che il furgone s’era fermato accanto a lei e nemmeno che qualcuno era sceso, quando all’improvviso si sentì afferrare.
«Lasciatemi, lasciatemi» urlò con tutto il fiato che aveva in gola. Cercò con lo sguardo aiuto, ma in quel momento la via era deserta, poi fu tutto buio e non capì più nulla. Si svegliò all’ improvviso sballottata di qua e di là, era tutto nero, c’era tanto buio intorno a lei, avvertiva altre presenze, sentiva i loro respiri, il calore dei loro corpi, non li vedeva, voleva parlare, ma la paura la bloccava, sentiva voci d’altri bambini.
«Dove mi hanno rinchiusa?» si chiese con sgomento, mentre sentiva salire dentro di lei un terrore profondo che le faceva venire male allo stomaco.
«Chissà, forse sono stati presi come me, ma perché?» pensò, mentre percepiva intorno a lei la paura che saliva nel loro pianto sommesso.
Con le mani, a tentoni, cercò intorno a sé cercando d’abituare la vista alla scarsa luce che filtrava. Sentì braccia, gambe, qualcuno che l’allontanò in malo modo.
Un caldo opprimente rendeva quel luogo una bolgia infernale, Olla aveva la sensazione di soffocare, quel’aria viziata era insopportabile.
«Quanto vorrei essere a casa, al fresco, in cucina con la limonata che la nonna mi preparava sempre al pomeriggio» pensava.
«Cosa sta succedendo, dove siamo?» si chiedeva Olla, che non capiva perché l’avessero presa. «Per quale motivo?» si chiedeva, e non sapeva rispondere a questa domanda, mentre nella sua piccola mente mille pensieri passavano, come nella sequenza di un film assurdo.
Cercava delle risposte, credeva d’impazzire. «Forse è un sogno» pensava, tappandosi le orecchie, ma quando toglieva le mani, ritornava alla realtà che voleva rifuggire.
«Anche voi siete stati presi?» chiese a voce alta, per sovrastare il rumore del furgone in viaggio.
«Di dove siete voi?» domandò, ma uno scossone più forte degli altri li mandò a gambe al’aria, e nessuno le rispose, troppo occupato a rizzarsi. Olla pensò: «Forse nessuno ha voglia di parlare con me». Erano tutti così abbattuti, spaventati, non insistette, sebbene stranamente avesse tanta voglia di parlare con qualcuno.
«Sì, hanno preso anche noi, per strada, davanti alle nostre case» risposero più voci. «Chissà cosa vorranno da noi» chiese un altro bimbo.
«Voglio tornare a casa» cominciò a piagnucolare una bimba, dando inizio a tutto il gruppo: pianti forti, disperati, poi sommessi, inframezzati da violenti singhiozzi.
Anche Olla, contagiata dalla tristezza, si mise a piangere pensando alla mamma. «Adesso mi starà cercando, povera mamma» pensava «io non volevo darle un altro dispiacere dopo la morte della nonna, ma come potevo sapere? E adesso, mi manca così tanto!»
Di nuovo divenne tutto buio, era svenuta un’altra volta, per il gran dolore che il suo cuore aveva provato nel pensare alla mamma.
Al ’improvviso, nella sua mente apparve un dragone enorme, sputava fuoco e fiamme lunghissime… «Ah, brucio» pensò e di colpo si svegliò. «Era solo un sogno, meno male, ma sono ancora qui rinchiusa insieme a chissà quanti altri bambini» disse fra sé angosciata.
Al risveglio, così improvviso, s’aggiunse la sensazione che avvertì su di lei: il peso di alcuni bimbi che le erano caduti addosso durante una curva.
«Sballottati in tutte le direzioni, in quel modo, era un vero miracolo che non si fossero ancora fatti male» pensava, mentre cercava di spostarli nel buio che la circondava.
Ad un tratto sentirono una brusca frenata, che li scaraventò tutti in fondo al furgone, ammucchiandoli. A Olla sembrò d’essere presa in un vortice, sbatté la testa e non capì più niente, come se fosse stata investita da un uragano.
Volarono per aria gli uni sugli altri, tra le urla disperate di dolore di chi rimaneva schiacciato. Il furgone carambolò su se stesso due volte prima di schiantarsi contro un albero, con gran rumore di ferraglia, il portellone posteriore nello schianto si spalancò e molti di loro volarono fuori come pupazzi senza vita, su di un prato in discesa.
Un silenzio spettrale copriva tutto, come una gelida coltre, il fumo acre si diffondeva nel’aria, Olla si svegliò, non capiva per quanto fosse rimasta priva di sensi, muta dalla paura si sfilò con fatica, aveva male alla testa, uscì da sotto il corpo d’un bambino meno fortunato di lei, che ormai dormiva inerte.
L’odore acre le bruciava gli occhi, aveva male a un braccio e guardandolo s’accorse della ferita che il bambino sotto di lei aveva sulla testa, che sanguinava e per un attimo rimase lì incantata a guardarlo. Non aveva mai visto qualcuno sanguinare così tanto, l’unica volta era stata quando s’era tagliata il dito mentre pelava le patate. «Quanto mi ero spaventata» ricordava.
Poi si riscosse, cercò d’aiutarlo, non sapeva però cosa fare. Un ragazzino le diede un pezzo di stoffa che aveva strappato dal’interno del furgone, cercò di tamponare la ferita, ma un’ondata di calore tut’un tratto li investì, facendoli arretrare e si ritrovarono aggrappati l’un l’altra, un po’ per lo spavento e un po’ per ripararsi.
Il fragore d’uno scoppio, aveva fatto esplodere l’inferno, le fiamme alte lambivano pericolosamente tut’intorno, una nuvola di fumo s’alzò alta, poi un leggero venticello venne pian piano a diradarlo, lasciando nel’aria un odore acre, nauseabondo.
Olla s’accorse d’essere in mezzo alla campagna, accanto a un bosco. Per quel bambino purtroppo non c’era più niente da fare. Le venne una gran tosse per quel fumo, si guardò attorno incredula, era un incubo, l’avrebbe ricordato per il resto della sua vita! La testa le faceva male, si sentiva come imbottita, i rumori erano così lontani, si toccò le guance bagnate e s’accorse che stava piangendo.
Altri bambini s’erano alzati indenni come lei e vagavano come imbambolati in mezzo ai feriti che si stavano svegliando e si lamentavano per il dolore, mentre molti altri giacevano morti tut’intorno a loro, sparpagliati, su quel prato, come in un’immagine di guerra.
Un bambino un po’ più grande di loro, dallo sguardo spavaldo, che le aveva dato poco prima il lembo di stoffa, le si avvicinò, la squadrò, poi parlò con durezza, rivolgendosi a tutti «io ho salvato la pelle, e tutto sommato ringrazio questo incidente che mi permette di scappare e tornare al mio paese, ma tutti quanti voi dovreste fare altrettanto, se siete furbi, prima che arrivi la polizia, di quelli non ci si può fidare!»
Poi si rivolse ad Olla e quasi sottovoce, le parlò: «Anche tu, se vuoi venire con me, seguimi, dobbiamo stare lontani per un po’ dalle strade e prendere per i sentieri di campagna, poi alla prima città grande ognuno per sé» disse brutalmente, poi si girò di scatto e se ne andò.
«E gli altri, tutti quelli che sono feriti, non possiamo lasciarli qui da soli, dobbiamo portarli con noi!» Gli urlò dietro, Olla.
«Se pensi di farcela a curarli tutti e a spostarli, fai pure, accomodati, io non ce la faccio, quindi me ne vado, prima che arrivino a riprendermi.» E senza scomporsi, deciso, s’incamminò.
Olla rimase allibita di fronte a quel discorso, ma nello stesso momento capì che il bambino aveva ragione, nel suo crudo ragionamento, la verità appariva inesorabile come una scure che ne salva alcuni e taglia via la vita agli altri, decidendo in pochi attimi il destino di molti di loro.
Olla guardò stupita quel bambino per quel modo che aveva di comportarsi da adulto poi, senza girarsi, perché provava troppa pena per quelli che rimanevano, s’incamminò.
«Sono troppo piccola per poterli aiutare» pensò, poi cercò d’allontanare il pensiero.
A fatica, anche altri bambini che avevano ascoltato, si unirono a loro: sei bambini cominciarono a correre dietro a lei e a quel bambino-adulto, in fondo non sapevano dove andare e nemmeno cosa fare, per loro, sembrò la cosa più naturale del mondo seguire quel ragazzino che sembrava così sicuro di sé, sebbene non lo conoscessero, con loro condivideva quella tragica avventura e si fidarono di lui e di Olla, istintivamente. Altro...