sabato 7 febbraio 2015

IL PRINCIPE AZZURRO

IL PRINCIPE AZZURRO
 di Maria Mastrocola Dulbecco
   
                                foto d'archivio di  Roberto Torricella      
 
E’ uno dei temi del corso unitre che ho frequentato appena arrivata a Rivoli prima che mi invitassero a tenere il mio. Circa dieci anni addietro.
Ho rimandato di qualche settimana l’argomento poiché ritenevo di non avere nulla da scrivere a riguardo.
Ma uno di quei famosi cassettini della memoria si è prepotentemente aperto e mi ha ricordato che non solo un principe azzurro lo avevo sognato, ma era esistito nella realtà dei miei undici o dodici anni.
Mi rivedo ancora in quella terza navata a sinistra della chiesa parrocchiale dove la nostra “scuola cantorum”, della quale facevo parte, si riuniva attorno all’armonium per cantare gli inni del caso e negli intervalli di canto il mio sguardo era rivolto verso la terza navata, in fondo a destra, da dove due occhi mi guardavano al di sopra delle teste che riempivano la chiesa.
Tutte le domeniche i miei sguardi si incontravano con i suoi e quanto soffrivo se qualche volta non li trovavo.
Bello, il vero principe dei miei sogni.
Quando uscivo dalla chiesa,  con la mia amica del cuore, lo trovavo all’uscita e ancora lo incontravo nelle passeggiate per il paese. Ma neppure alla mia amica permettevo si avvedesse di quegli sguardi, né con lei ne avrei mai parlato, avvicinarsi non era neppure pensabile, il paese intero avrebbe mormorato e ne sarei morta di vergogna.
Quegli sguardi innocenti potevano provocare uno scandalo.
Un giorno, uscendo dalla chiesa per una funzione pomeridiana, da una casa vicina, sentimmo arrivare della musica e una ragazzina come noi ci invitò ad entrare. Io e la mia amica, quasi furtivamente, ci infilammo in quella porta ed in una stanza con le finestre accuratamente chiuse verso la strada, vi erano persone che ballavano.
Il mio principe era tra loro e il mio cuore sussultò dalla gioia quando mi si avvicinò per invitarmi a ballare.
Il primo e forse ultimo ballo della mia vita.
Non sapevo ballare e glielo dissi: non preoccuparti, ti insegno io e felice tra le sue braccia ascoltavo il suo dirmi due passi a destra, un passo a sinistra, forse era così che diceva, ma tutto quello che ancora ricordo è che si trattava di un tango e che volavo tra le sue braccia.
Avevo i capelli lunghi con la riga da una parte così che per metà essi scendevano sul viso coprendomi in parte la fronte e lui per farmi un complimento mi disse: sei pettinata alla Veronica Lake. Non vi erano sale cinematografiche in paese ma sapevo che la nominata era un’attrice.
Era la prima ed unica volta che l’ho visto da vicino e il mio principe aveva i capelli ricci e neri (non era biondo come nella tradizione) ma aveva gli occhi chiari.
Avrei voluto che quel pomeriggio non finisse mai, ma come nelle fiabe, prima dell’imbrunire, abbandonammo frettolosamente quella casa per tornare a casa in tempo da non perdere la fiducia che i nostri genitori ci accordavano.
Neppure in quel caso confidai il mio segreto all’amica, tornai a casa a fantasticare e mi ricordai un episodio accaduto in seconda elementare quando lo stesso ragazzino fu punito dall’insegnante per aver lanciato un biglietto sul mio banco e denunciato dalla bimba che mi sedeva accanto.
Sognavo di incontrarlo ancora e questo avveniva spesso essendo il paese piccolo, ma il nostro era sempre un incrociarsi di sguardi innocenti.
Sembra che questi sguardi siano stati notati da altri che non li hanno giudicati tanto innocenti se un giorno la mia amica del cuore addusse un pretesto per non uscire insieme.
Siccome anche lei pativa questa nostra separazione, sedute sullo scalino dietro la casa di Lella, all’ombra della nostra  chiesa, mi confidò: “Mammà non vuole che esca con te perché ha saputo che tu vedi…fece il nome del ragazzino.
Non era vero ma quel gioco di sguardi era diventato uno scandalo di dominio pubblico.
 Mi cadde il mondo addosso, la pregai di riferire a sua madre che non era vero niente e che mai ne avrebbe fatto parola con mia madre poiché me ne sarei vergognata. Poi lei che era sempre con me, sapeva che l’unica volta che ci eravamo avvicinati  era stato a quel ballo in cui c’era anche lei e del quale nessuna di noi poteva riferire.
Soffrii la mia prima pena d’amore, ma il terrore di essere giudicata male mi impedì di continuare a ricambiare quegli sguardi ed evitare di girarmi in chiesa verso quella navata in fondo.
Passati pochi anni, il mio principe si trasferì a Roma per i suoi studi, io a Torino così, le nostre strade presero direzioni diverse e non ci incontrammo mai più.
Aprendo oggi quel cassettino ho provato una tenerezza infinita per quella innocente prima inconsapevole pena d’amore.
 
                                                         Maria Mastrocola Dulbecco

2 commenti:

  1. Ciao Maria
    che tenerezza questo ricordo.
    Grazie per averlo condiviso e anch' io ho vissuto un tempo di principe azzurro, solo che lui usciva con me solo per scommessa con i suoi amici.
    Mi è caduto il mondo addosso quando l' ho saputo. Per fortuna ero uscita solo una volta e quella volta un bacio ma sulla guancia. Un ricordo quasi sbiadito, ora ci rido su.
    Un abbraccio e buona domenica.
    Chiara

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    1. Grazie chiara di aver letto e capito. . Vengo a salutarti sul tuo blog

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