domenica 20 dicembre 2015

BUON NATALE


                       BUON  NATALE


 Buon Natale, ripetono in giro…quanti Natali sono passati:
 Un foulard di seta azzurra che la mamma mi ha regalato e insieme a lei camminando,  sotto le stelle, per recarci alla messa di mezzanotte assaporavamo i profumi che la strada ci rimandava dai pochi casolari sparsi.  Vi era un intenso profumo di salsicce alla brace e lei mi ha detto: Tu ingoia questo profumo e fai finta di averlo gustato, mangiato è uguale.
Riflettei e provai, era vero! Arrivata in chiesa accolta dal coro di cui facevo parte, le mie suore, le mie amiche.
Un gomitolo di lana, una sciarpa le casette del presepe.
Per giorni avevo lavorato per creare quel piccolo spettacolo: cartoncini recuperati, forbici, carte vuote di caramelle rossana.
 Stagnola di cioccolato scarso a quei tempi, ma qualcosa c'era, tutto era prezioso e riciclato.
Alla sera, dentro le casette di cartone con alle finestre la carta trasparente delle caramelle rossana, accendevo dei lumini e quei piccoli capolavori creati da me prendevano vita. Adoperavo dei piccoli bicchierini che contenevano l'estratto di carne per brodo (una leccornia per il tempo) e una volta vuotati ci mettevo una metà di acqua e una metà di olio e come vedevo fare alla nonna per i lumini nelle sere della festa dei morti,  facevo dei dischetti di carta con un buco in mezzo dove passava il cotone che veniva acceso e galleggiando su quell'olio  ardevano con una piccola fiammella che illuminavano le mie casette. Il cotone era fornito raddoppiando il filo da imbastire che la mamma adoperava per eseguire i suoi lavori. Per fortuna non ho provocato incendi.
I laghetti rilucevano con la carta argentata e il muschio raccolto in campagna ne formavano i bordi e la pianura prima dei monti formati con la carta del pane.  Accartocciati con cura, formavano montagne e colline, le pieghe provocate ad arte trattenevano la farina bianca cosparsa per simulare la neve…le strade segnate con la stessa davano un senso di realtà.
Quanti sacrifici per comprare le pecorelle, una  all'anno, era già caro il pastore e il gregge ci voleva un pò di tempo. Le ochette sul lago, la lavandaia che non poteva mancare, il contadino con il cesto della frutta, la donna che portava il pane.
 Naturalmente il centro era la grotta, con ceppi e paglia ma doveva essere accogliente, il bue, l'asinello la mangiatoia per accogliere il bambino Gesù tenuto nascosto prima del 25 dicembre. La Madonna bellissima, San Giuseppe protettivo e attento e sulla grotta L'angelo con il suo augurio di pace insieme alla stella cometa più lucente possibile.
I magi comprati uno all'anno e quando avevo finito di comprare queste cose, la mia età era già adulta tanto da dover abbandonare il tutto  e credo che al primo trasloco dei miei, tutto finì miseramente nel punto dei rifiuti. Pazienza tutto resta nei miei ricordi e nel raccontarlo.

                                         Maria Mastrocola Dulbecco
                                 Mercatino di Natale a Montreux  Svizzera

 

NATALE


 Buon Natale, ripetono in giro…quanti Natali sono passati:
 Un foulard di seta azzurra che la mamma mi ha regalato e insieme a lei camminando,  sotto le stelle, per recarci alla messa di mezzanotte assaporavamo i profumi che la strada ci rimandava dai pochi casolari sparsi.  Vi era un intenso profumo di salsicce alla brace e lei mi ha detto: Tu ingoia questo profumo e fai finta di averlo gustato, mangiato è uguale.
Riflettei e provai, era vero! Arrivata in chiesa accolta dal coro di cui facevo parte, le mie suore, le mie amiche.
Un gomitolo di lana, una sciarpa le casette del presepe.
Per giorni avevo lavorato per creare quel piccolo spettacolo: cartoncini recuperati, forbici, carte vuote di caramelle rossana.
 Stagnola di cioccolato scarso a quei tempi, ma qualcosa c'era, tutto era prezioso e riciclato.
Alla sera, dentro le casette di cartone con alle finestre la carta trasparente delle caramelle rossana, accendevo dei lumini e quei piccoli capolavori creati da me prendevano vita. Adoperavo dei piccoli bicchierini che contenevano l'estratto di carne per brodo (una leccornia per il tempo) e una volta vuotati ci mettevo una metà di acqua e una metà di olio e come vedevo fare alla nonna per i lumini nelle sere della festa dei morti,  facevo dei dischetti di carta con un buco in mezzo dove passava il cotone che veniva acceso e galleggiando su quell'olio  ardevano con una piccola fiammella che illuminavano le mie casette. Il cotone era fornito raddoppiando il filo da imbastire che la mamma adoperava per eseguire i suoi lavori. Per fortuna non ho provocato incendi.
I laghetti rilucevano con la carta argentata e il muschio raccolto in campagna ne formavano i bordi e la pianura prima dei monti formati con la carta del pane.  Accartocciati con cura, formavano montagne e colline, le pieghe provocate ad arte trattenevano la farina bianca cosparsa per simulare la neve…le strade segnate con la stessa davano un senso di realtà.
Quanti sacrifici per comprare le pecorelle, una  all'anno, era già caro il pastore e il gregge ci voleva un pò di tempo. Le ochette sul lago, la lavandaia che non poteva mancare, il contadino con il cesto della frutta, la donna che portava il pane.
 Naturalmente il centro era la grotta, con ceppi e paglia ma doveva essere accogliente, il bue, l'asinello la mangiatoia per accogliere il bambino Gesù tenuto nascosto prima del 25 dicembre. La Madonna bellissima, San Giuseppe protettivo e attento e sulla grotta L'angelo con il suo augurio di pace insieme alla stella cometa più lucente possibile.
I magi comprati uno all'anno e quando avevo finito di comprare queste cose, la mia età era già adulta tanto da dover abbandonare il tutto  e credo che al primo trasloco dei miei, tutto finì miseramente nel punto dei rifiuti. Pazienza tutto resta nei miei ricordi e nel raccontarlo.

                                         Maria Mastrocola Dulbecco

sabato 12 dicembre 2015

Pisa in piazza dei miracoli


Sono quella con i calzoncini bianchi
La seconda foto è Paolo con la seicento carozzata Vignale con la quale abbiamo fatto quel giro fino negli Abruzzi.
 Forse 1961

giovedì 10 dicembre 2015

SECONDA PARTE


 
 
Ero arrivata a Torino per una vacanza e mentre mia sorella andava a lavorare io restavo con Michelina che si dava da fare a prepararci pranzetti speciali. A me piaceva molto magiare pane e burro (venivo da un paese dove il burro non esisteva) poi quel burro era particolarmente gustoso.
Veniva conservato nella ghiacciaia.   Da Michelina come anche nelle altre case allora, non esisteva il frigo ma avevano la ghiacciaia dove riponevano il ghiaccio che compravano da un venditore di passaggio e per un po’ gli alimenti si conservavano.
Alcune mattine mi recavo dai miei zii in via Principessa Clotilde e spesso mio zio mi portava con lui in ufficio. Il suo ufficio era alla prefettura di Torino  in  piazza Castello vicino al teatro Regio, al palazzo Reale e a Palazzo Madama.  Curiosa come sempre mi impadronii di una macchina da scrivere, non l’avevo mai adoperata ma impiegai poco ad impratichirmene tanto che i colleghi di mio zio mi passavano delle pratiche da scrivere e per me era un piacere scrivere con questo aggeggio.
Mi sono fatta dare dei fogli da mio zio e cominciai a scrivere i miei racconti non più con la biro ma a macchina. Ci avevo preso gusto e così tutte le mattine andavo con lui  in Prefettura.  Mi piaceva anche perché assaporavo il piacere di uscire, con lui, alle ore undici per andare a prendere il caffè da Florio il bar frequentato dagli impiegati della zona che era a pochi passi, in via Po. Bar elegante, molto antico e che esiste ancora.

Dopo questo rito si tornava in ufficio.

Accadde che un collega dello zio, una mattina, mi chiese se non era nelle mie intenzioni di fermarmi a lavorare a Torino. Un suo amico cercava una impiegata e secondo lui potevo presentarmi perché il lavoro da svolgere poteva essermi congeniale.

Accompagnata da mio zio ci siamo recati a questo colloquio che avvenne in casa di questo amico ed era  in via Biella via che incrociava con via Brindisi dove abitavo.

Ci accolse una bellissima signora, molto elegante e  gentile che ci ha fatto una ottima impressione,

In modo speciale a mio zio che apprezzava molto le bellezze femminili.

Lei ci spiegò che era un incarico per registrare fatture e svolgere la corrispondenza.

Al mattino dopo mi recai in questo magazzino, in via Piave, dove trovai a ricevermi una signora molto avvenente che mi diede subito qualcosa  da fare,  dovevo scrivere delle lettere ad alcuni fornitori e lei aveva preparato delle minute dove si  esprimeva in maniera molto colorita e la grammatica aveva smesso di avere la sua funzione.

Tutto l’ambiente attorno mi  confondeva, vi erano presenti un ragazzo imbronciato e una ragazza magra ma carina, molto sorridente. Il fatto era che mentre io cercavo di decifrare quelle lettere e le scrivevo a macchina, loro parlavano o meglio gridavano a voce alta parlando uno stretto veneto per me incomprensibile
A Dio piacendo cercai di tradurre quelle frasi assurde e riuscii a compilare queste lettere secondo il volere della imbellettata signora.
 Terminato le quali glie li lessi ed ottenni l’approvazione della signora. Avevo mitigato le frasi più crude ma venne approvato il tutto, scritto gli indirizzi sulle buste, Pietro il ragazzo che poi era il figlio partì per spedirle al vicino ufficio postale.

Anche la ragazza era sua figlia, poco dopo arrivò il marito che tutti chiamavano il Cavaliere ed era una persona molto curata che parlava un ottimo italiano . E’ arrivato con una macchina di un certo livello ma io non conoscevo le auto e non sapevo distinguere le marche ma mi avvidi che era di pregio.

Nell’insieme, in quella confusione non mi trovai smarrita e non mi spaventai,  anche perché la cosa mi faceva comodo così non si sarebbero avveduti della mia poca preparazione.

Capivo che il  tenore dei loro discorsi a voce alta  erano  di litigi ma non erano fatti miei.

Tornai il mattino dopo e poi ancora.

Alla richiesta di mio zio se mi fossi trovata bene lo riassicurai e ho continuato ad andare.

Tra una, loro lite ed un’altra cominciai a capire anche il veneto e a rendermi conto che la signora stava allestendo un negozio in una zona importante di Torino e presto sarebbe andata via da questo magazzino all’ingrosso dove subentrava il figlio maggiore che era il marito della signora bella ed elegante che avevo conosciuta con mio zio in via Biella.

A tutta quella confusione subentrarono il figlio maggiore e sua moglie.

Tutto diventò diverso. Io e la signora Ada  andavamo molto d’accordo, il marito andava a vendere i gli articolo  di ceramiche ai fioristi e altri negozi e tornava nel pomeriggio portando gli ordini delle quali preparavo le fatture e lui con l’aiuto di un ragazzo preparava gli oggetti da consegnare a il giorno dopo.

Io e Ade, visto la giovane età mia e sua, lei aveva quattro anni più di me , avevamo molto appetito ed eravamo ottime clienti di una panetteria a fianco e oltre alla pizza facevamo grossi panini ripieni di mortadella e li mangiavamo con gusto e risate.

Ridevamo molto al passaggio di un “barbone” che passava sulla strada tirando un carrettino dove aveva il suo guardaroba e tutto il suo avere (credo disdegnasse un alloggio) e guardandolo passare dicevamo, chissà se anche noi faremo la stessa fine …

 Le discussioni si ripetevano ogni qualvolta la signora padrona precedente (suocera della Adelina) veniva a prendere oggetti per il suo nuovo negozio e non si capiva se andavano fatturati ma certamente non li pagava e non aveva nessuna importanza se non venivano detratti dalla merce  in deposito magazzino.

Tanto non si capiva niente, il tempo trascorreva e in qualche modo si pagavano le tratte che arrivavano con gli incassi della giornata.

Raccontare questo andazzo sarebbe lungo e complicato ma io cominciai a preoccuparmi per i pagamenti di fine mese tanto da patirne come se fossero stati impegni miei.

Il cavaliere si dava da fare per escogitare nuove entrate da devolvere alla moglie che si adirava con lui rivolgendogli invettive quando non era soddisfatta.

Tutte questa notizie ci giungevano tramite telefono linea molto attiva in quel magazzino.

A queste sfuriate seguivano mattinate di calma e  chiacchiere liete con la Adelina che aveva un bambino di due anni che era guardato, a casa, da una beby-sitter.

Il Cavaliere si trovò a comprare una fabbrica di ceramiche ad Albisola mare,  patria di famose ceramiche.

Rilevò un patrimonio interessantissimo e naturalmente tutti i pezzi più importanti finirono nel negozio di Via Milano che rendeva molto e lo gestiva da sola la signora Nana (chiamata così dal marito  per un diminuitivo di Giovanna)

Una frase che mi è rimasta in mente era quella che il cavaliere rivolgeva a sua moglie quando voleva calmarla: “Nana sta brava”

Non credo che queste persone si fossero rese conto di cosa avevano trovato ad Albisola. Il precedente proprietari ospitava artisti  molto in voga nel periodo e che in questa fabbrica andavano per sperimentare le loro opere d’arte. Tra questi vi era il famoso Lucio Fontana. (Per intenderci quello famosissimo delle tele con i tagli) che provavano le loro opere e lasciavano molti pezzi prova.

Il Cavaliere con i suoi figli adoperavano questa fortuna per farne regali a persone importanti o che prestavano loro del soldi.

Ho visto passare piatti di Fontana ed altri regalati con una facilità estrema. Oggi valgono una fortuna ma anche allora erano già apprezzatissimi.

Questa famosa fabbrica di ceramiche, il Cavaliere decise di trasportarla a Torino a allo scopo affittò un grande magazzino a Settimo torinese (diciamo periferia di Torino).

In men che non si dica, tutta questa attrezzatura vasche torni e soprattutto forni vennero trasportati e istallati a Torino.

Fu così che mi ritrovai ad essere l’impiegata unica di questo enorme complesso.

Quanta meraviglia nel vedere questi forni e assistere alle creazioni di oggetti con questo materiale che a me sembrava fango e per magia si trasformava in splendidi oggetti.

Il cavaliere e sua moglie si recarono nel veneto e tornarono con un gruppo di persone provetti ceramisti ai quali assicurarono uno stipendio adeguato e fornito loro alloggi abitazioni.

Questi operai comprendevano un esperto modellatore di oggetti artistici. Esperti di miscele per materiale occorrente a realizzare statue e vasi artistici tanto che la ditta fu intitolata. Ceramiche Artistiche.

In quel lungo magazzino avevano trovato posto i tre forni e all’ingresso vi era una stanza occupata da una scrivania per me e di fronte un’altra dove spesso si fermava il cavaliere.

La fabbrica iniziava con lo spazio dedicato all’artista che  inventava le opere, poi di seguito vi trovavano posto due tornitori che facendo girare il tornio ed  eseguivano vasi, portaombrelli e altri oggetti che quelle sapienti mani sapevano creare adoperando quella argilla. le mani i piedi che azionavano quel tornio dove spuntavano come in un miracolo  oggetti stupendi che venivano poi cotti al forno e al mattino da quelle bocche  spente dal fuoco uscivano oggetti divenute bianche.

Una serie di ragazzine erano poi intente a dipingere questi oggetti che venivano poi nuovamente cotte in quei forni e le pitture rimanevano impressi in quelle ceramiche.

Alcuni oggetti erano finiti con questo procedimento ma altri venivano impreziositi con rifiniture in oro zecchino e poi rimessi in forno per la definitiva cottura .

Gli oggetti scelti venivano inseriti in un catalogo numerato fino a creare un campionario di almeno cento oggetti che venivano fotografati formando un catalogo da presentare, per la vendita, a negozi di casalinghi e fiorai.

Continuerò a raccontare premettendo numerose evoluzioni e accadimenti in questa fabbrica dove ho imparato a districarmi in tutte le incombenze amministrative.

                                

                                                               Maria Mastrocola Dulbecco

 In questa foto, sono la seconda a sinistra, indossavo appunto quel principe di Galles ed è stata fatta al mio paese al mio primo ritorno da Torino.

 

)

 

 

 

sabato 28 novembre 2015

PRIMA PARTE


Rivoli  19/11/12014

                                                     VITA  TORINESE 1954

Via Brindisi 3, é questo il numero civico  dove sono approdata al mio Arrivo a Torino.

Era il 10 ottobre di non ricordo bene in quale anno, forse il 1954, in gennaio, al festival di Sanremo  emergeva “Tutte le mamme”.

Era una giornata di sole e dal finestrino del treno assaporavo quel sole che mi rendeva gioiosa, tornavo a Torino per la seconda volta e questa volta per fermarmi in questa città e restarvi anche se il viaggio, fatto con mia sorella che vi lavorava, doveva solo  essere turistico. Indossavo un tailleur principe di Galles che mi dava un aspetto elegante aiuta dalla mia siluet di ragazzina che pesava 45 chili.

Quanta curiosità si accendeva nella mia mente entrando in quel cortile, nuovo per me, e attraversando lo spiazzo  ciotolato, mi sono arrampicata sulla scala che si trovava in fondo di fronte al portone d’ingresso. Ad accoglierci  c’era Michelina, la signora che ospitava mia sorella come compagnia e pensionante. Mi accolse con un sorriso e con un desinare molto ben fatto come si accolgono ospiti nuovi.

Quasi tutto il cortile si è animato dal secondo piano è salita la signora  Caldera, una signora  piuttosto in carne e un tantino strascicante ma con un viso intelligente da persona colta. Con Michelina parlava il dialetto che mi era incomprensibile e poi con un buon italiano mi rivolse parole di benvenuto  e di calorosa accoglienza parlandomi della sua (cita) figliola che sarebbe tornata dal lavoro e sarebbe venuta a salutarmi non senza avermi informata che la sua “cita” era sposata con un ingegnere che lavorava alla fiat e che lei "la cita"lavorava presso la casa editrice Paravia dove occupava una posizione di rilievo .

Ho poi conosciuto Armida e Serafino che occupavano l’alloggio piccolo a destra, salendo la scala, della signora Caldera (secondo piano). Con il loro bambino Silvano che frequentava la quinta elementare. Vispo e allegro è salito da noi, Michelina era sua zia:

Tutta questa atmosfera di cortile cittadino mi è piaciuta molto e quasi mi sono sentita a casa.

Ho imparato che il gabinetto era fuori dal balcone e che anche la signore Neta che abitava nello stesso piano nell’alloggetto piccolo di fianco ne doveva usufruire.

Appesi ad un chiodo,  piantato dietro, si vedeva  sulla porta dopo averla chiusa con un ferretto che si infilava sul muro, vi erano tanti pezzi di giornale  ricavati da “La stampa” giornale che si comprava ogni giorno e io e Michelina ci aggiornavamo  sugli avvenimenti del momento e allora, come oggi, le notizie che ci interessavano di più erano le indagini sui delitti da risolvere. Credo che in quel periodo  imperava il caso “Fenaroli”  o “Montesi”.

La “sislunga”  attirò subito la mia attenzione e ne occupai immediatamente una parte verso l’uscita mente Michelina  ne occupava l’altra parte.

In Ottobre il tempo era clemente e alla sera avevamo ancora la porta, sul balcone,  aperta e immancabilmente a mezzanotte arrivava su la signora Caldera che si attardava a raccontare le sue storie.  Mi raccontava che lei non curava molto il suo abbigliamento e che un giorno si è presentato un signore che cercava suo genero (l’ingegnere) e lei sentendosi inadeguata si presentò dicendo: “Il Sig/ Cagliostro non è in casa, il suo appartamento di sotto è chiuso e io sono la fantesca”

In effetti Cagliosto Lino e Teresa avevano un alloggio più grande al piano terra ma preferivano stare sopra dai genitori.

 Madama Caldera amava il bel canto, canticchiava pezzi di opere raccontandone la storia e tutte le sere Michelina faticava molto a farla andare via. La spingeva verso le scale ma lei tornava su  a parlare con le “cite” io e mia sorella.

Conobbi man mano le amiche di mia sorella e gli abitanti degli altri piani. A piano terra c’erano Francesca e Vittorio, due persone amabili, senza figli e all’ultimo piano, nella soffitta abitava  la signora Ginetta , una anziana zitella che , con il passare dei giorni e l’inverno che arrivava , ci invitava da lei noi sorelle  e parecchie altre  ragazze ci recavamo da lei sedendoci in una vecchia  “sislunga”  vicino ad una piccola stufa a legna dove immancabilmente bolliva dell’acqua con la quale lei preparava un delizioso “capiller”con limone e zucchero e ce lo offriva in deliziose tazzine  e con tutta la sua gentilezza. Non era solo la stufa e il “capiller” che ci attirava ma era anche la sua virtù nel leggerci le carte.

Per me era la prima volta che assistevo a questo avvenimento in cui lei credeva veramente e le signorine presenti  facevano domande sui loro fidanzati. Lucia chiedeva se  il suo fidanzamento con Fiorenzo sarebbe durato. Germana si informava su Silvano il ferroviere, mia sorella su Ezio l’ingegnere della Mondial Pistoni che  aveva ricominciato a frequentarci dopo averci incontrate un giorno in Via Cernaia e nell’occasione ci invitò (tutti i partecipanti alla passeggiata) a prendere qualcosa in un bar. Considerato da tutti un avvenimento conoscendo la proverbiale avarizia dell’ingegnere.

 La signora della soffitta  era molto raffinata e non era solo  la misera soffitta a  far capire un passato diverso, I pochi oggetti e la sua raffinatezza raccontava di un passato  nobile e il suo viso era illuminato di  ricordi  d’altri tempi.

Peccato che la distinta signorina morì pochi anni dopo e io non ho fatto in tempo a sapere di più su di  lei.

I balconi di fronte appartenevano agli alloggi che davano sulla strada e vi abitavano poche persone tra loro una famiglia con tanti figli.

Al primo piano  un ufficio poi a destra l’alloggio di Lino e Teresa che si adoperò una sera del primo inverno per una fantastica “bagna cauda” , al piano secondo c’era una famiglia di due persone che non ho visto mai e al terzo piano, la famiglia Ciardo, appunto con più figli,  titolari di  un laboratorio di cromatura situato nel cortile  che occupava il marito e i figli più grandi.

Dei ragazzi Ciardo , il più grande faceva il filo a mia sorella e ogni tanto saliva su da noi per stare in compagnia e venivano anche le altre ragazze del cortile.

Carlo era un bel ragazzone dagli occhi chiari e possedeva un mezzo viaggiante (serviva per il loro lavoro) e a volte ci portava a fare un giro per Torino facendomi vedere il corso  molto lungo di Corso Francia. Corso Orbassano che portava e porta a Santa Rita e poi fuori città, Corso Vittorio e in fondo il Valentino. In quelle sere e nell’estate  a venire c’era una stupenda fontana  colorata e danzante al ritmo di una bella musica che si  diffondeva  tra i giardini del valentino da poco rimessi in ordine. Poi questa fontana ha smesso di funzionare  e non so perché.

Carlo non era gradito a Michelina poiché era risaputo che lui aveva una fidanzata ufficiale e secondo lei non doveva frequentare le ragazze del  quartiere.

Io non trovavo disdicevole che Carlo frequentasse la compagnia che era abituato a frequentare da sempre ma forse Michelina non aveva tutti i torti.

Ma torniamo agli abitanti del cortile.

Silvano veniva sempre sopra, con i suoi nove anni e la sua vivacità mi divertiva e poi io , che al mio paese mi ero sempre occupata ei i bimbi del quartiere seguendoli nei compiti trovavo giusto seguire quel bambino molto intelligente ma qualche volta, per seguire i giochi in oratorio don Bosco ( eravamo vicini alla ciesa di Maria Ausiliatrice )  e per  un po’ di pigrizia, arrivava alla sera senza aver fatto il compito per l’indomani  così che con la mamma, saliva al terzo piano da noi, dopo cena, e la mamma, in piemontese mi diceva; “Maria, il cit a l’ha sogn e deve ancora fare il tema. Per favore lo fai tu e lui domattina si alza presto e lo copia!”  Conoscendo il pensiero del bimbo e la sua intelligenza, potevo scrivere il tema senza pensare che a scuola potessero accorgersi di essere stato aiutato. Fu così che vincemmo i vari premi  sui concorsi assegnati: Il libretto della cassa di Risparmio, il premio della centrale del latte e altri ancora allora indetti nelle scuole. Però Silvano vinceva anche i premi dei temi fatti a scuola.

Per questi aiuti  Armida, mamma di Silvano, mi ha regalato un taglio di stoffa azzurra con il quale mia sorella  che lavorava in un importante Atelier di Torino, la “Sanlorenzo”. mi confezionò un bel vestito che io ho impreziosito con un  ricamo in bianco.

Era ancora il periodo che  apprezzavo un bel vestito o qualcosa  di nuovo. A tal proposito ricordo la prima neve di Natale e io già avevo trovato un lavoro. Comprai un paio di stivaletti bianchi, corti alla caviglia che si chiudevano con una cerniera laterale a aveva  le suole di  para. Che felicità!  Volavo con quegli scarponcini comprati per la prima volta con soldi guadagnati da me.

                                                                                  Maria Mastrocola Dulbecco

 

 

Seconda parte


 

PARTE  SECONDA

 

Ero arrivata a Torino per una vacanza e mentre mia sorella andava a lavorare io restavo con Michelina che si dava da fare a prepararci pranzetti speciali. A me piaceva molto magiare pane e burro (venivo da un paese dove il burro non esisteva) poi quel burro era particolarmente gustoso.

Veniva conservato nella ghiacciaia.   Da Michelina come anche nelle altre case allora, non esisteva il frigo ma avevano la ghiacciaia dove riponevano il ghiaccio che compravano da un venditore di passaggio e per un po’ gli alimenti si conservavano.

Alcune mattine mi recavo dai miei zii in via Principessa Clotilde e spesso mio zio mi portava con lui in ufficio. Il suo ufficio era alla prefettura di Torino  in  piazza Castello vicino al teatro Regio, al palazzo Reale e a Palazzo Madama.  Curiosa come sempre mi impadronii di una macchina da scrivere, non l’avevo mai adoperata ma impiegai poco ad impratichirmene tanto che i colleghi di mio zio mi passavano delle pratiche da scrivere e per me era un piacere scrivere con questo aggeggio.

Mi sono fatta dare dei fogli da mio zio e cominciai a scrivere i miei racconti non più con la biro ma a macchina. Ci avevo preso gusto e così tutte le mattine andavo con lui  in Prefettura.  Mi piaceva anche perché assaporavo il piacere di uscire, con lui, alle ore undici per andare a prendere il caffè da Florio il bar frequentato dagli impiegati della zona che era a pochi passi, in via Po. Bar elegante, molto antico e che esiste ancora.

Dopo questo rito si tornava in ufficio.

Accadde che un collega dello zio, una mattina, mi chiese se non era nelle mie intenzioni di fermarmi a lavorare a Torino. Un suo amico cercava una impiegata e secondo lui potevo presentarmi perché il lavoro da svolgere poteva essermi congeniale.

Accompagnata da mio zio ci siamo recati a questo colloquio che avvenne in casa di questo amico ed era  in via Biella via che incrociava con via Brindisi dove abitavo.

Ci accolse una bellissima signora, molto elegante e  gentile che ci ha fatto una ottima impressione,

In modo speciale a mio zio che apprezzava molto le bellezze femminili.

Lei ci spiegò che era un incarico per registrare fatture e svolgere la corrispondenza.

Al mattino dopo mi recai in questo magazzino, in via Piave, dove trovai a ricevermi una signora molto avvenente che mi diede subito qualcosa  da fare,  dovevo scrivere delle lettere ad alcuni fornitori e lei aveva preparato delle minute dove si  esprimeva in maniera molto colorita e la grammatica aveva smesso di avere la sua funzione.

Tutto l’ambiente attorno mi  confondeva, vi erano presenti un ragazzo imbronciato e una ragazza magra ma carina, molto sorridente. Il fatto era che mentre io cercavo di decifrare quelle lettere e le scrivevo a macchina, loro parlavano o meglio gridavano a voce alta parlando uno stretto veneto per me incomprensibile.

A Dio piacendo cercai di tradurre quelle frasi assurde e riuscii a compilare queste lettere secondo il volere della imbellettata signora.

 Terminato le quali glie li lessi ed ottenni l’approvazione della signora. Avevo mitigato le frasi più crude ma venne approvato il tutto, scritto gli indirizzi sulle buste, Pietro il ragazzo che poi era il figlio partì per spedirle al vicino ufficio postale.

Anche la ragazza era sua figlia, poco dopo arrivò il marito che tutti chiamavano il Cavaliere ed era una persona molto curata che parlava un ottimo italiano . E’ arrivato con una macchina di un certo livello ma io non conoscevo le auto e non sapevo distinguere le marche ma mi avvidi che era di pregio.

Nell’insieme, in quella confusione non mi trovai smarrita e non mi spaventai,  anche perché la cosa mi faceva comodo così non si sarebbero avveduti della mia poca preparazione.

Capivo che il  tenore dei loro discorsi a voce alta  erano  di litigi ma non erano fatti miei.

Tornai il mattino dopo e poi ancora.

Alla richiesta di mio zio se mi fossi trovata bene lo riassicurai e ho continuato ad andare.

Tra una, loro lite ed un’altra cominciai a capire anche il veneto e a rendermi conto che la signora stava allestendo un negozio in una zona importante di Torino e presto sarebbe andata via da questo magazzino all’ingrosso dove subentrava il figlio maggiore che era il marito della signora bella ed elegante che avevo conosciuta con mio zio in via Biella.

A tutta quella confusione subentrarono il figlio maggiore e sua moglie.

Tutto diventò diverso. Io e la signora Ada  andavamo molto d’accordo, il marito andava a vendere i gli articolo  di ceramiche ai fioristi e altri negozi e tornava nel pomeriggio portando gli ordini delle quali preparavo le fatture e lui con l’aiuto di un ragazzo preparava gli oggetti da consegnare a il giorno dopo.

Io e Ade, visto la giovane età mia e sua, lei aveva quattro anni più di me , avevamo molto appetito ed eravamo ottime clienti di una panetteria a fianco e oltre alla pizza facevamo grossi panini ripieni di mortadella e li mangiavamo con gusto e risate.

Ridevamo molto al passaggio di un “barbone” che passava sulla strada tirando un carrettino dove aveva il suo guardaroba e tutto il suo avere (credo disdegnasse un alloggio) e guardandolo passare dicevamo, chissà se anche noi faremo la stessa fine …

 Le discussioni si ripetevano ogni qualvolta la signora padrona precedente (suocera della Adelina) veniva a prendere oggetti per il suo nuovo negozio e non si capiva se andavano fatturati ma certamente non li pagava e non aveva nessuna importanza se non venivano detratti dalla merce  in deposito magazzino.

Tanto non si capiva niente, il tempo trascorreva e in qualche modo si pagavano le tratte che arrivavano con gli incassi della giornata.

Raccontare questo andazzo sarebbe lungo e complicato ma io cominciai a preoccuparmi per i pagamenti di fine mese tanto da patirne come se fossero stati impegni miei.

Il cavaliere si dava da fare per escogitare nuove entrate da devolvere alla moglie che si adirava con lui rivolgendogli invettive quando non era soddisfatta.

Tutte questa notizie ci giungevano tramite telefono linea molto attiva in quel magazzino.

A queste sfuriate seguivano mattinate di calma e  chiacchiere liete con la Adelina che aveva un bambino di due anni che era guardato, a casa, da una beby-sitter.

Il Cavaliere si trovò a comprare una fabbrica di ceramiche ad Albisola mare,  patria di famose ceramiche.

Rilevò un patrimonio interessantissimo e naturalmente tutti i pezzi più importanti finirono nel negozio di Via Milano che rendeva molto e lo gestiva da sola la signora Nana (chiamata così dal marito  per un diminuitivo di Giovanna)

Una frase che mi è rimasta in mente era quella che il cavaliere rivolgeva a sua moglie quando voleva calmarla: “Nana sta brava”

Non credo che queste persone si fossero rese conto di cosa avevano trovato ad Albisola. Il precedente proprietari ospitava artisti  molto in voga nel periodo e che in questa fabbrica andavano per sperimentare le loro opere d’arte. Tra questi vi era il famoso Lucio Fontana. (Per intenderci quello famosissimo delle tele con i tagli) che provavano le loro opere e lasciavano molti pezzi prova.

Il Cavaliere con i suoi figli adoperavano questa fortuna per farne regali a persone importanti o che prestavano loro del soldi.

Ho visto passare piatti di Fontana ed altri regalati con una facilità estrema. Oggi valgono una fortuna ma anche allora erano già apprezzatissimi.

Questa famosa fabbrica di ceramiche, il Cavaliere decise di trasportarla a Torino a allo scopo affittò un grande magazzino a Settimo torinese (diciamo periferia di Torino).

In men che non si dica, tutta questa attrezzatura vasche torni e soprattutto forni vennero trasportati e istallati a Torino.

Fu così che mi ritrovai ad essere l’impiegata unica di questo enorme complesso.

Quanta meraviglia nel vedere questi forni e assistere alle creazioni di oggetti con questo materiale che a me sembrava fango e per magia si trasformava in splendidi oggetti.

Il cavaliere e sua moglie si recarono nel veneto e tornarono con un gruppo di persone provetti ceramisti ai quali assicurarono uno stipendio adeguato e fornito loro alloggi abitazioni.

Questi operai comprendevano un esperto modellatore di oggetti artistici. Esperti di miscele per materiale occorrente a realizzare statue e vasi artistici tanto che la ditta fu intitolata. Ceramiche Artistiche.

In quel lungo magazzino avevano trovato posto i tre forni e all’ingresso vi era una stanza occupata da una scrivania per me e di fronte un’altra dove spesso si fermava il cavaliere.

La fabbrica iniziava con lo spazio dedicato all’artista che  inventava le opere, poi di seguito vi trovavano posto due tornitori che facendo girare il tornio ed  eseguivano vasi, portaombrelli e altri oggetti che quelle sapienti mani sapevano creare adoperando quella argilla. le mani i piedi che azionavano quel tornio dove spuntavano come in un miracolo  oggetti stupendi che venivano poi cotti al forno e al mattino da quelle bocche  spente dal fuoco uscivano oggetti divenute bianche.

Una serie di ragazzine erano poi intente a dipingere questi oggetti che venivano poi nuovamente cotte in quei forni e le pitture rimanevano impressi in quelle ceramiche.

Alcuni oggetti erano finiti con questo procedimento ma altri venivano impreziositi con rifiniture in oro zecchino e poi rimessi in forno per la definitiva cottura .

Gli oggetti scelti venivano inseriti in un catalogo numerato fino a creare un campionario di almeno cento oggetti che venivano fotografati formando un catalogo da presentare, per la vendita, a negozi di casalinghi e fiorai.

Continuerò a raccontare premettendo numerose evoluzioni e accadimenti in questa fabbrica dove ho imparato a districarmi in tutte le incombenze amministrative.

                                

                                                               Maria Mastrocola Dulbecco

 

 
Foto dell'epoca

venerdì 27 novembre 2015

MIEI SCRITTI

     
La zia monaca
e lo sparo di nonno Cesare
 di Maria Mastrocola Dulbecco
Io so di aver avuto una nonna speciale
                    (Il castello di Monteodorisio)

Nonna Caterina era nata il 21 Luglio 1886 a Monteodorisio (CH), quindi all'alba del novecento aveva già 14 anni, e mi affascinava sentirla raccontare come si era svolta la sua vita in particolari momenti.
Mi raccontava del suo vivere da ragazza di buona famiglia che si doveva attenere a certe regole, della sua vita di fanciulla in quel suo piccolo paese aristocratico, arroccato su una collina, del castello di Maria Giovanna dove si scorgeva,  sinuoso,  il Sinello e sotto, il dirupo, che era fonte di preoccupazioni e pericolo di frane.
Aveva tre fratelli ed era la più piccola nella famiglia, oltretutto la sola figlia femmina.
I suoi fratelli,  Nicola, Riccardo e Enrico, la proteggevano . Io li ho conosciuti tutti e tre come pure i loro figli.
La nonna mi raccontava sempre di una sua zia "monaca", la quale aveva provveduto alla sua educazione, a procurarle i vestiti che faceva arrivare direttamente da Napoli (si era ancora sotto la dominazione borbonica), alle abitudini del tempo e tante altre storie molto interessanti.
La zia monaca era ritornata a Monteodorisio da un convento napoletano, requisito dai Borboni,  dal quale le suore erano state mandate via, ognuna facendo ritorno al paese d’origine, con un vitalizio governativo.
Dopo il ritorno, la zia monaca, aveva mantenuto i contatti con Napoli, così che continuava a far vestire le nipoti dai sarti di quella città.  A casa veniva a pettinarla una donna con il “rollo”, formato dai capelli e da un rotolo dove venivano avvolti  (di questa sua acconciatura avevo una splendida foto dell’epoca con un vestito speciale. Cercherò di recuperare la foto).
La nonna mi raccontava anche del suo fidanzamento con nonno Cesare.
Mi diceva che il loro matrimonio era avvenuto per uno sparo. Precisamente, come si usava a quei tempi, la richiesta era stata fatta ai genitori e ai fratelli, i quali non vedevano di buon occhio che dovesse trasferirsi in un altro paese, Cupello, forse a due chilometri di distanza, e così avversarono la richiesta di questo innamorato.
L'innamorato respinto non si perse d'animo ed escogitò un sistema per non farsi dire: no.
Successe che Nonna Caterina sostava spesso,  forse a ricamare, vicino alla finestra che dava verso il Sinello, dove si affacciava per ammirare il panorama e a fantasticare. Una sera, mentre all'imbrunire era in questa piacevole occupazione, il giovane Cesare passò di lì e con il suo fucile da cacciatore sparò verso o a fianco di quella finestra, così da compromettere la fanciulla, come a segnare un possesso: questa ragazza deve essere mia. 
Tutto il paese , in breve, fu al corrente della cosa e quindi la giovane compromessa. Inevitabile fu da parte della famiglia e sopratutto dei fratelli, accettare il fidanzamento in casa e permettere che questa adorata sorella cambiasse paese.
Cominciarono i preparativi e naturalmente fecero la conoscenza con la famiglia di lui. Avvenne così che i matrimoni diventarono due poiché Nicola, uno dei fratelli di nonna, si innamorò di Domenica, sorella di Cesare, e così si fidanzarono anche loro.
I preparativi furono all’altezza delle due famiglie. Quella di mia nonna più signorile, come allora erano  considerati gli abitanti di Monteodorisio e più contadini gli abitanti di Cupello.
Per preparare la dote ci si recava a fare acquisti a Vasto, ma per arrivarvi  bisognava passare per il paese dello sposo e la sposa non doveva vedere il paese prima del matrimonio. Per evitare questo, nell’attraversare Cupello, venivano tirate giù le tendine dei finestrini della carrozza in modo che la sposa non potesse vedere il paese e né poteva essere vista dai suoi abitanti.
A quei tempi, come usanza, si cercava di non dividere le proprietà terriere, che spettavano ai figli maschi, così che la dote data alla figlia femmina consisteva in danaro e biancheria. Se ricordo bene la nonna mi parlava di quattromila ducati  (non ho idea di quanto possano essere attualmente quantificati)
Il matrimonio avvenne e la nonna si trasferì a Cupello dove la chiamavano la signora. 
Mi raccontava del suo integrarsi nella nuova famiglia e dei personaggi singolari della stessa. Le cognate nubili si facevano consigliare da lei per i vestiti e la pettinatura.
Mi incantavo ad ascoltare le sue storie. Peccato  non  disporre, allora, di un registratore,  che non esisteva, ed ora i miei ricordi sono frammentari. Mi dispiace molto non ricordare tutto.
Io la ricordo sempre vecchia eppure quando sono nata io, lei aveva solo 48 anni. 
Lei, dopo la morte del marito avvenuta in America nel 1918 (ho una foto della  tomba di nonno Cesare a Rochester e so che esiste ancora, i parenti me lo hanno inviato dieci anni addietro), aveva indossato un vestito nero e legato un fazzoletto, sempre nero, in testa.  
Lo toglieva solo per pettinarsi.  
Nei miei ricordi è rimasta sempre uguale, fino ai suoi 75 anni. Quando è mancata io ero già a Torino.
Era il giorno della Befana ed ho fatto il viaggio in treno sperando di trovarla ancora viva.
                                                                                        Maria  Mastrocola Dulbecco