Ero arrivata a Torino per una vacanza e
mentre mia sorella andava a lavorare io restavo con Michelina che si dava da
fare a prepararci pranzetti speciali. A me piaceva molto magiare pane e burro
(venivo da un paese dove il burro non esisteva) poi quel burro era
particolarmente gustoso.
Veniva conservato nella ghiacciaia. Da Michelina come anche nelle altre case
allora, non esisteva il frigo ma avevano la ghiacciaia dove riponevano il
ghiaccio che compravano da un venditore di passaggio e per un po’ gli alimenti
si conservavano.
Alcune mattine mi recavo dai miei zii in via
Principessa Clotilde e spesso mio zio mi portava con lui in ufficio. Il suo
ufficio era alla prefettura di Torino in
piazza Castello vicino al teatro Regio,
al palazzo Reale e a Palazzo Madama. Curiosa come sempre mi impadronii di una
macchina da scrivere, non l’avevo mai adoperata ma impiegai poco ad impratichirmene
tanto che i colleghi di mio zio mi passavano delle pratiche da scrivere e per
me era un piacere scrivere con questo aggeggio.
Mi
sono fatta dare dei fogli da mio zio e cominciai a scrivere i miei racconti non
più con la biro ma a macchina. Ci avevo preso gusto e così tutte le mattine
andavo con lui in Prefettura. Mi piaceva anche perché assaporavo il piacere
di uscire, con lui, alle ore undici per andare a prendere il caffè da Florio il
bar frequentato dagli impiegati della zona che era a pochi passi, in via Po.
Bar elegante, molto antico e che esiste ancora.
Dopo
questo rito si tornava in ufficio.
Accadde
che un collega dello zio, una mattina, mi chiese se non era nelle mie
intenzioni di fermarmi a lavorare a Torino. Un suo amico cercava una impiegata
e secondo lui potevo presentarmi perché il lavoro da svolgere poteva essermi
congeniale.
Accompagnata da mio zio ci siamo recati a questo colloquio
che avvenne in casa di questo amico ed era
in via Biella via che incrociava con via Brindisi dove abitavo.
Ci accolse una bellissima signora, molto elegante e gentile che ci ha fatto una ottima
impressione,
In modo speciale a mio zio che apprezzava molto le
bellezze femminili.
Lei ci spiegò che era un incarico per registrare fatture
e svolgere la corrispondenza.
Al mattino dopo mi recai in questo magazzino,
in via Piave, dove trovai a ricevermi una signora molto avvenente che mi diede
subito qualcosa da fare, dovevo scrivere delle lettere ad alcuni
fornitori e lei aveva preparato delle minute dove si esprimeva in maniera molto colorita e la
grammatica aveva smesso di avere la sua funzione.
Tutto l’ambiente attorno mi confondeva, vi erano presenti un ragazzo
imbronciato e una ragazza magra ma carina, molto sorridente. Il fatto era che
mentre io cercavo di decifrare quelle lettere e le scrivevo a macchina, loro
parlavano o meglio gridavano a voce alta parlando uno stretto veneto per me
incomprensibile
A Dio piacendo cercai di tradurre quelle frasi
assurde e riuscii a compilare queste lettere secondo il volere della
imbellettata signora.
Terminato le quali glie li lessi ed ottenni
l’approvazione della signora. Avevo mitigato le frasi più crude ma venne
approvato il tutto, scritto gli indirizzi sulle buste, Pietro il ragazzo che
poi era il figlio partì per spedirle al vicino ufficio postale.
Anche
la ragazza era sua figlia, poco dopo arrivò il marito che tutti chiamavano il
Cavaliere ed era una persona molto curata che parlava un ottimo italiano . E’
arrivato con una macchina di un certo livello ma io non conoscevo le auto e non
sapevo distinguere le marche ma mi avvidi che era di pregio.
Nell’insieme,
in quella confusione non mi trovai smarrita e non mi spaventai, anche perché la cosa mi faceva comodo così non
si sarebbero avveduti della mia poca preparazione.
Capivo
che il tenore dei loro discorsi a voce
alta erano di litigi ma non erano fatti miei.
Tornai
il mattino dopo e poi ancora.
Alla
richiesta di mio zio se mi fossi trovata bene lo riassicurai e ho continuato ad
andare.
Tra
una, loro lite ed un’altra cominciai a capire anche il veneto e a rendermi
conto che la signora stava allestendo un negozio in una zona importante di
Torino e presto sarebbe andata via da questo magazzino all’ingrosso dove
subentrava il figlio maggiore che era il marito della signora bella ed elegante
che avevo conosciuta con mio zio in via Biella.
A
tutta quella confusione subentrarono il figlio maggiore e sua moglie.
Tutto
diventò diverso. Io e la signora Ada
andavamo molto d’accordo, il marito andava a vendere i gli articolo di ceramiche ai fioristi e altri negozi e
tornava nel pomeriggio portando gli ordini delle quali preparavo le fatture e
lui con l’aiuto di un ragazzo preparava gli oggetti da consegnare a il giorno
dopo.
Io e
Ade, visto la giovane età mia e sua, lei aveva quattro anni più di me , avevamo
molto appetito ed eravamo ottime clienti di una panetteria a fianco e oltre
alla pizza facevamo grossi panini ripieni di mortadella e li mangiavamo con
gusto e risate.
Ridevamo
molto al passaggio di un “barbone” che passava sulla strada tirando un
carrettino dove aveva il suo guardaroba e tutto il suo avere (credo disdegnasse
un alloggio) e guardandolo passare dicevamo, chissà se anche noi faremo la
stessa fine …
Le discussioni si ripetevano ogni qualvolta la
signora padrona precedente (suocera della Adelina) veniva a prendere oggetti
per il suo nuovo negozio e non si capiva se andavano fatturati ma certamente
non li pagava e non aveva nessuna importanza se non venivano detratti dalla
merce in deposito magazzino.
Tanto
non si capiva niente, il tempo trascorreva e in qualche modo si pagavano le
tratte che arrivavano con gli incassi della giornata.
Raccontare
questo andazzo sarebbe lungo e complicato ma io cominciai a preoccuparmi per i
pagamenti di fine mese tanto da patirne come se fossero stati impegni miei.
Il
cavaliere si dava da fare per escogitare nuove entrate da devolvere alla moglie
che si adirava con lui rivolgendogli invettive quando non era soddisfatta.
Tutte
questa notizie ci giungevano tramite telefono linea molto attiva in quel
magazzino.
A
queste sfuriate seguivano mattinate di calma e
chiacchiere liete con la Adelina che aveva un bambino di due anni che
era guardato, a casa, da una beby-sitter.
Il Cavaliere
si trovò a comprare una fabbrica di ceramiche ad Albisola mare, patria di famose ceramiche.
Rilevò
un patrimonio interessantissimo e naturalmente tutti i pezzi più importanti
finirono nel negozio di Via Milano che rendeva molto e lo gestiva da sola la
signora Nana (chiamata così dal marito
per un diminuitivo di Giovanna)
Una
frase che mi è rimasta in mente era quella che il cavaliere rivolgeva a sua
moglie quando voleva calmarla: “Nana sta brava”
Non
credo che queste persone si fossero rese conto di cosa avevano trovato ad
Albisola. Il precedente proprietari ospitava artisti molto in voga nel periodo e che in questa
fabbrica andavano per sperimentare le loro opere d’arte. Tra questi vi era il
famoso Lucio Fontana. (Per intenderci quello famosissimo delle tele con i
tagli) che provavano le loro opere e lasciavano molti pezzi prova.
Il
Cavaliere con i suoi figli adoperavano questa fortuna per farne regali a
persone importanti o che prestavano loro del soldi.
Ho
visto passare piatti di Fontana ed altri regalati con una facilità estrema.
Oggi valgono una fortuna ma anche allora erano già apprezzatissimi.
Questa
famosa fabbrica di ceramiche, il Cavaliere decise di trasportarla a Torino a
allo scopo affittò un grande magazzino a Settimo torinese (diciamo periferia di
Torino).
In
men che non si dica, tutta questa attrezzatura vasche torni e soprattutto forni
vennero trasportati e istallati a Torino.
Fu
così che mi ritrovai ad essere l’impiegata unica di questo enorme complesso.
Quanta
meraviglia nel vedere questi forni e assistere alle creazioni di oggetti con
questo materiale che a me sembrava fango e per magia si trasformava in
splendidi oggetti.
Il
cavaliere e sua moglie si recarono nel veneto e tornarono con un gruppo di
persone provetti ceramisti ai quali assicurarono uno stipendio adeguato e
fornito loro alloggi abitazioni.
Questi
operai comprendevano un esperto modellatore di oggetti artistici. Esperti di
miscele per materiale occorrente a realizzare statue e vasi artistici tanto che
la ditta fu intitolata. Ceramiche Artistiche.
In
quel lungo magazzino avevano trovato posto i tre forni e all’ingresso vi era
una stanza occupata da una scrivania per me e di fronte un’altra dove spesso si
fermava il cavaliere.
La
fabbrica iniziava con lo spazio dedicato all’artista che inventava le opere, poi di seguito vi
trovavano posto due tornitori che facendo girare il tornio ed eseguivano vasi, portaombrelli e altri oggetti
che quelle sapienti mani sapevano creare adoperando quella argilla. le mani i
piedi che azionavano quel tornio dove spuntavano come in un miracolo oggetti stupendi che venivano poi cotti al
forno e al mattino da quelle bocche
spente dal fuoco uscivano oggetti divenute bianche.
Una
serie di ragazzine erano poi intente a dipingere questi oggetti che venivano
poi nuovamente cotte in quei forni e le pitture rimanevano impressi in quelle
ceramiche.
Alcuni
oggetti erano finiti con questo procedimento ma altri venivano impreziositi con
rifiniture in oro zecchino e poi rimessi in forno per la definitiva cottura .
Gli
oggetti scelti venivano inseriti in un catalogo numerato fino a creare un
campionario di almeno cento oggetti che venivano fotografati formando un
catalogo da presentare, per la vendita, a negozi di casalinghi e fiorai.
Continuerò
a raccontare premettendo numerose evoluzioni e accadimenti in questa fabbrica
dove ho imparato a districarmi in tutte le incombenze amministrative.
Maria
Mastrocola Dulbecco
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