Rivoli 19/11/12014
VITA TORINESE 1954
Via Brindisi 5, é questo il numero civico
dove sono approdata al mio Arrivo a Torino.
Era il 10 ottobre di non ricordo bene in quale anno, forse il 1954, in gennaio,
al festival di Sanremo emergeva “Tutte
le mamme”.
Era una giornata di sole e dal finestrino del treno assaporavo quel sole
che mi rendeva gioiosa, tornavo a Torino per la seconda volta e questa volta
per fermarmi in questa città e restarvi anche se il viaggio, fatto con mia
sorella che vi lavorava, doveva solo
essere turistico. Indossavo un tailleur principe di Galles che mi dava
un aspetto elegante aiuta dalla mia siluet di ragazzina che pesava 45 chili.
Quanta curiosità si accendeva nella mia mente entrando in quel cortile,
nuovo per me, e attraversando lo spiazzo
ciotolato, mi sono arrampicata sulla scala che si trovava in fondo di
fronte al portone d’ingresso. Ad accoglierci
c’era Michelina, la signora che ospitava mia sorella come compagnia e
pensionante. Mi accolse con un sorriso e con un desinare molto ben fatto come
si accolgono ospiti nuovi.
Quasi tutto il cortile si è animato dal secondo piano è salita la
signora Caldera, una signora piuttosto in carne e un tantino strascicante
ma con un viso intelligente da persona colta. Con Michelina parlava il dialetto
che mi era incomprensibile e poi con un buon italiano mi rivolse parole di
benvenuto e di calorosa accoglienza
parlandomi della sua (cita) figliola che sarebbe tornata dal lavoro e sarebbe
venuta a salutarmi non senza avermi informata che la sua “cita” era sposata con
un ingegnere che lavorava alla fiat e che lei "la cita"lavorava
presso la casa editrice Paravia dove occupava una posizione di rilievo .
Ho poi conosciuto Armida e Serafino che occupavano l’alloggio piccolo a
destra, salendo la scala, della signora Caldera (secondo piano). Con il loro
bambino Silvano che frequentava la quinta elementare. Vispo e allegro è salito
da noi, Michelina era sua zia:
Tutta questa atmosfera di cortile cittadino mi è piaciuta molto e quasi mi
sono sentita a casa.
Ho imparato che il gabinetto era fuori dal balcone e che anche la signore
Neta che abitava nello stesso piano nell’alloggetto piccolo di fianco ne doveva
usufruire.
Appesi ad un chiodo, piantato
dietro, si vedeva sulla porta dopo averla chiusa con un ferretto che
si infilava sul muro, vi erano tanti pezzi di giornale ricavati da “La stampa” giornale che si
comprava ogni giorno e io e Michelina ci aggiornavamo sugli avvenimenti del momento e allora, come
oggi, le notizie che ci interessavano di più erano le indagini sui delitti da
risolvere. Credo che in quel periodo
imperava il caso “Fenaroli” o
“Montesi”.
La “sislunga” attirò subito la mia
attenzione e ne occupai immediatamente una parte verso l’uscita mente
Michelina ne occupava l’altra parte.
In Ottobre il tempo era clemente e alla sera avevamo ancora la porta, sul
balcone, aperta e immancabilmente a
mezzanotte arrivava su la signora Caldera che si attardava a raccontare le sue
storie. Mi raccontava che lei non curava
molto il suo abbigliamento e che un giorno si è presentato un signore che
cercava suo genero (l’ingegnere) e lei sentendosi inadeguata si presentò
dicendo: “Il Sig/ Cagliostro non è in casa, il suo appartamento di sotto è
chiuso e io sono la fantesca”
In effetti Cagliosto Lino e Teresa avevano un alloggio più grande al piano
terra ma preferivano stare sopra dai genitori.
Madama Caldera amava il bel canto,
canticchiava pezzi di opere raccontandone la storia e tutte le sere Michelina
faticava molto a farla andare via. La spingeva verso le scale ma lei tornava
su a parlare con le “cite” io e mia
sorella.
Conobbi man mano le amiche di mia sorella e gli abitanti degli altri piani.
A piano terra c’erano Francesca e Vittorio, due persone amabili, senza figli e
all’ultimo piano, nella soffitta abitava
la signora Ginetta , una anziana zitella che , con il passare dei giorni
e l’inverno che arrivava , ci invitava da lei noi sorelle e parecchie altre ragazze ci recavamo da lei sedendoci in una
vecchia “sislunga” vicino ad una piccola stufa a legna dove
immancabilmente bolliva dell’acqua con la quale lei preparava un delizioso
“capiller”con limone e zucchero e ce lo offriva in deliziose tazzine e con tutta la sua gentilezza. Non era solo
la stufa e il “capiller” che ci attirava ma era anche la sua virtù nel leggerci
le carte.
Per me era la prima volta che assistevo a questo avvenimento in cui lei
credeva veramente e le signorine presenti
facevano domande sui loro fidanzati. Lucia chiedeva se il suo fidanzamento con Fiorenzo sarebbe
durato. Germana si informava su Silvano il ferroviere, mia sorella su Ezio
l’ingegnere della Mondial Pistoni che
aveva ricominciato a frequentarci dopo averci incontrate un giorno in
Via Cernaia e nell’occasione ci invitò (tutti i partecipanti alla passeggiata)
a prendere qualcosa in un bar. Considerato da tutti un avvenimento conoscendo
la proverbiale avarizia dell’ingegnere.
La signora della soffitta era molto raffinata e non era solo la
misera soffitta a far capire un passato diverso, I pochi oggetti e la sua
raffinatezza raccontava di un passato
nobile e il suo viso era illuminato di
ricordi d’altri tempi.
Peccato che la distinta signorina morì pochi anni dopo e io non ho fatto in
tempo a sapere di più su di lei.
I balconi di fronte appartenevano agli alloggi che davano sulla strada e vi
abitavano poche persone tra loro una famiglia con tanti figli.
Al primo piano un ufficio poi a
destra l’alloggio di Lino e Teresa che si adoperò una sera del primo inverno
per una fantastica “bagna cauda” , al piano secondo c’era una famiglia di due
persone che non ho visto mai e al terzo piano, la famiglia Ciardo, appunto con
più figli, titolari di un laboratorio di cromatura situato nel
cortile che occupava il marito e i figli
più grandi.
Dei ragazzi Ciardo , il più grande faceva il filo a mia sorella e ogni
tanto saliva su da noi per stare in compagnia e venivano anche le altre ragazze
del cortile.
Carlo era un bel ragazzone dagli occhi chiari e possedeva un mezzo
viaggiante (serviva per il loro lavoro) e a volte ci portava a fare un giro per
Torino facendomi vedere il corso molto
lungo di Corso Francia. Corso Orbassano che portava e porta a Santa Rita e poi fuori
città, Corso Vittorio e in fondo il Valentino. In quelle sere e
nell’estate a venire c’era una stupenda
fontana colorata e danzante al ritmo di
una bella musica che si diffondeva tra i giardini del valentino da poco rimessi
in ordine. Poi questa fontana ha smesso di funzionare e non so perché.
Carlo non era gradito a Michelina poiché era risaputo che lui aveva una
fidanzata ufficiale e secondo lei non doveva frequentare le ragazze del quartiere.
Io non trovavo disdicevole che Carlo frequentasse la compagnia che era
abituato a frequentare da sempre ma forse Michelina non aveva tutti i torti.
Ma torniamo agli abitanti del cortile.
Silvano veniva sempre sopra, con i suoi nove anni e la sua vivacità mi
divertiva e poi io , che al mio paese mi ero sempre occupata ei i bimbi del
quartiere seguendoli nei compiti trovavo giusto seguire quel bambino molto
intelligente ma qualche volta, per seguire i giochi in oratorio don Bosco (
eravamo vicini alla ciesa di Maria Ausiliatrice ) e per
un po’ di pigrizia, arrivava alla sera senza aver fatto il compito per
l’indomani così che con la mamma, saliva
al terzo piano da noi, dopo cena, e la mamma, in piemontese mi diceva; “Maria,
il cit a l’ha sogn e deve ancora fare il tema. Per favore lo fai tu e lui
domattina si alza presto e lo copia!”
Conoscendo il pensiero del bimbo e la sua intelligenza, potevo scrivere
il tema senza pensare che a scuola potessero accorgersi di essere stato
aiutato. Fu così che vincemmo i vari premi
sui concorsi assegnati: Il libretto della cassa di Risparmio, il premio
della centrale del latte e altri ancora allora indetti nelle scuole. Però
Silvano vinceva anche i premi dei temi fatti a scuola.
Per questi aiuti Armida, mamma di
Silvano, mi ha regalato un taglio di stoffa azzurra con il quale mia
sorella che lavorava in un importante
Atelier di Torino, la “Sanlorenzo”. mi confezionò un bel vestito che io ho
impreziosito con un ricamo in bianco.
Era ancora il periodo che apprezzavo
un bel vestito o qualcosa di nuovo. A
tal proposito ricordo la prima neve di Natale e io già avevo trovato un lavoro.
Comprai un paio di stivaletti bianchi, corti alla caviglia che si chiudevano
con una cerniera laterale a aveva le
suole di para. Che felicità! Volavo con quegli scarponcini comprati per la
prima volta con soldi guadagnati da me.
Maria Mastrocola Dulbecco
Foto mia dell'epoca
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