VITA TORINESE 1954
SECONDA
PARTE
Ero arrivata a
Torino per una vacanza e mentre mia sorella andava a lavorare io restavo con
Michelina che si dava da fare a prepararci pranzetti speciali. A me piaceva
molto mangiare pane e burro (venivo da un paese dove il burro non esisteva) poi
quel burro era particolarmente gustoso.
Veniva conservato
nella ghiacciaia. Da Michelina come
anche nelle altre case allora, non esisteva il frigo ma avevano la ghiacciaia
dove riponevano il ghiaccio che compravano da un venditore di passaggio e per
un po’ gli alimenti si conservavano.
Alcune mattine mi
recavo dai miei zii in via Principessa Clotilde e spesso mio zio mi portava con
lui in ufficio. Il suo ufficio era alla prefettura di Torino in
piazza Castello vicino al teatro Regio, al palazzo Reale e a Palazzo
Madama. Curiosa come sempre mi
impadronii di una macchina da scrivere, non l’avevo mai adoperata ma impiegai
poco ad impratichirmene tanto che i colleghi di mio zio mi passavano delle
pratiche da scrivere e per me era un piacere scrivere con questo aggeggio.
Mi sono fatta
dare dei fogli da mio zio e cominciai a scrivere i miei racconti non più con la
biro ma a macchina. Ci avevo preso gusto e così tutte le mattine andavo con
lui in Prefettura. Mi piaceva anche perché assaporavo il piacere
di uscire, con lui, alle ore undici per andare a prendere il caffè da Florio il
bar frequentato dagli impiegati della zona che era a pochi passi, in via Po.
Bar elegante,
molto antico e che esiste ancora.
Dopo questo rito
si tornava in ufficio.
Accadde che un
collega dello zio, una mattina, mi chiese se non era nelle mie intenzioni di
fermarmi a lavorare a Torino. Un suo amico cercava una impiegata e secondo lui
potevo presentarmi perché il lavoro da svolgere poteva essermi congeniale.
Accompagnata da
mio zio ci siamo recati a questo colloquio che avvenne in casa di questo amico
ed era in via Biella via che incrociava
con via Brindisi dove abitavo.
Ci accolse una
bellissima signora, molto elegante e
gentile che ci ha fatto una ottima impressione,
In modo speciale
a mio zio che apprezzava molto le bellezze femminili.
Lei ci spiegò che
era un incarico per registrare fatture e svolgere la corrispondenza.
Al mattino dopo
mi recai in questo magazzino, in via Piave, dove trovai a ricevermi una signora
molto avvenente che mi diede subito qualcosa
da fare, dovevo scrivere delle lettere
ad alcuni fornitori e lei aveva preparato delle minute dove si esprimeva in maniera molto colorita e la
grammatica aveva smesso di avere la sua funzione.
Tutto l’ambiente
attorno mi confondeva, vi erano presenti
un ragazzo imbronciato e una ragazza magra ma carina, molto sorridente. Il
fatto era che mentre io cercavo di decifrare quelle lettere e le scrivevo a
macchina, loro parlavano o meglio gridavano a voce alta parlando uno stretto
veneto per me incomprensibile.
A Dio piacendo
cercai di tradurre quelle frasi assurde e riuscii a compilare queste lettere
secondo il volere della imbellettata signora.
Terminato le quali glie li lessi ed ottenni
l’approvazione della signora. Avevo mitigato le frasi più crude ma venne
approvato il tutto, scritto gli indirizzi sulle buste, Pietro il ragazzo che
poi era il figlio partì per spedirle al vicino ufficio postale.
Anche la ragazza
era sua figlia, poco dopo arrivò il marito che tutti chiamavano il Cavaliere ed
era una persona molto curata che parlava un ottimo italiano . E’ arrivato con
una macchina di un certo livello ma io non conoscevo le auto e non sapevo
distinguere le marche ma mi avvidi che era di pregio.
Nell’insieme, in
quella confusione non mi trovai smarrita e non mi spaventai, anche perché la cosa mi faceva comodo così
non si sarebbero avveduti della mia poca preparazione.
Capivo che
il tenore dei loro discorsi a voce
alta erano di litigi ma non erano fatti miei.
Tornai il mattino
dopo e poi ancora.
Alla richiesta di
mio zio se mi fossi trovata bene lo riassicurai e ho continuato ad andare.
Tra una, loro
lite ed un’altra cominciai a capire anche il veneto e a rendermi conto che la
signora stava allestendo un negozio in una zona importante di Torino e presto
sarebbe andata via da questo magazzino all’ingrosso dove subentrava il figlio
maggiore che era il marito della signora bella ed elegante che avevo conosciuta
con mio zio in via Biella.
A tutta quella
confusione subentrarono il figlio maggiore e sua moglie.
Tutto diventò
diverso. Io e la signora Ada andavamo
molto d’accordo, il marito andava a vendere i gli articolo di ceramiche ai fioristi e altri negozi e
tornava nel pomeriggio portando gli ordini delle quali preparavo le fatture e
lui con l’aiuto di un ragazzo preparava gli oggetti da consegnare a il giorno
dopo.
Io e Ade, visto
la giovane età mia e sua, lei aveva quattro anni più di me , avevamo molto
appetito ed eravamo ottime clienti di una panetteria a fianco e oltre alla
pizza facevamo grossi panini ripieni di mortadella e li mangiavamo con gusto e
risate.
Ridevamo molto al
passaggio di un “barbone” che passava sulla strada tirando un carrettino dove
aveva il suo guardaroba e tutto il suo avere (credo disdegnasse un alloggio) e
guardandolo passare dicevamo, chissà se anche noi faremo la stessa fine …
Le discussioni si ripetevano ogni qualvolta la
signora padrona precedente (suocera della Adelina) veniva a prendere oggetti
per il suo nuovo negozio e non si capiva se andavano fatturati ma certamente
non li pagava e non aveva nessuna importanza se non venivano detratti dalla
merce in deposito magazzino.
Tanto non si
capiva niente, il tempo trascorreva e in qualche modo si pagavano le tratte che
arrivavano con gli incassi della giornata.
Raccontare questo
andazzo sarebbe lungo e complicato ma io cominciai a preoccuparmi per i
pagamenti di fine mese tanto da patirne come se fossero stati impegni miei.
Il cavaliere si
dava da fare per escogitare nuove entrate da devolvere alla moglie che si
adirava con lui rivolgendogli invettive quando non era soddisfatta.
Tutte questa
notizie ci giungevano tramite telefono linea molto attiva in quel magazzino.
A queste sfuriate
seguivano mattinate di calma e
chiacchiere liete con la Adelina che aveva un bambino di due anni che
era guardato, a casa, da una beby-sitter.
Il Cavaliere si
trovò a comprare una fabbrica di ceramiche ad Albisola mare, patria di famose ceramiche.
Rilevò un
patrimonio interessantissimo e naturalmente tutti i pezzi più importanti
finirono nel negozio di Via Milano che rendeva molto e lo gestiva da sola la
signora Nana (chiamata così dal marito
per un diminutivo di Giovanna)
Una frase che mi
è rimasta in mente era quella che il cavaliere rivolgeva a sua moglie quando
voleva calmarla: “Nana sta brava”
Non credo che
queste persone si fossero rese conto di cosa avevano trovato ad Albisola. Il
precedente proprietari ospitava artisti
molto in voga nel periodo e che in questa fabbrica andavano per
sperimentare le loro opere d’arte. Tra questi vi era il famoso Lucio Fontana.
(Per intenderci quello famosissimo delle tele con i tagli) che provavano le
loro opere e lasciavano molti pezzi prova.
Il Cavaliere con
i suoi figli adoperavano questa fortuna per farne regali a persone importanti o
che prestavano loro del soldi.
Ho visto passare
piatti di Fontana ed altri regalati con una facilità estrema. Oggi valgono una
fortuna ma anche allora erano già apprezzatissimi.
Questa famosa
fabbrica di ceramiche, il Cavaliere decise di trasportarla a Torino a allo
scopo affittò un grande magazzino a Settimo torinese (diciamo periferia di
Torino).
In men che non si
dica, tutta questa attrezzatura vasche torni e soprattutto forni vennero
trasportati e istallati a Torino.
Fu così che mi
ritrovai ad essere l’impiegata unica di questo enorme complesso.
Quanta meraviglia
nel vedere questi forni e assistere alle creazioni di oggetti con questo
materiale che a me sembrava fango e per magia si trasformava in splendidi
oggetti.
Il cavaliere e
sua moglie si recarono nel veneto e tornarono con un gruppo di persone provetti
ceramisti ai quali assicurarono uno stipendio adeguato e fornito loro alloggi
abitazioni.
Questi operai
comprendevano un esperto modellatore di oggetti artistici. Esperti di miscele
per materiale occorrente a realizzare statue e vasi artistici tanto che la ditta
fu intitolata. Ceramiche Artistiche.
In quel lungo
magazzino avevano trovato posto i tre forni e all’ingresso vi era una stanza
occupata da una scrivania per me e di fronte un’altra dove spesso si fermava il
cavaliere.
La fabbrica
iniziava con lo spazio dedicato all’artista che
inventava le opere, poi di seguito vi trovavano posto due tornitori che
facendo girare il tornio ed eseguivano
vasi, portaombrelli e altri oggetti che quelle sapienti mani sapevano creare
adoperando quella argilla. le mani i piedi che azionavano quel tornio dove
spuntavano come in un miracolo oggetti
stupendi che venivano poi cotti al forno e al mattino da quelle bocche spente dal fuoco uscivano oggetti divenute
bianche.
Una serie di
ragazzine erano poi intente a dipingere questi oggetti che venivano poi
nuovamente cotte in quei forni e le pitture rimanevano impressi in quelle
ceramiche.
Alcuni oggetti
erano finiti con questo procedimento ma altri venivano impreziositi con
rifiniture in oro zecchino e poi rimessi in forno per la definitiva cottura .
Gli oggetti
scelti venivano inseriti in un catalogo numerato fino a creare un campionario
di almeno cento oggetti che venivano fotografati formando un catalogo da
presentare, per la vendita, a negozi di casalinghi e fiorai.
Continuerò a
raccontare premettendo numerose evoluzioni e accadimenti in questa fabbrica
dove ho imparato a districarmi in tutte le incombenze amministrative.
Maria Mastrocola Dulbecco
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