sabato 24 giugno 2017

Vita Torinese 1954 (seconda parte)

        VITA  TORINESE 1954
 
                                        SECONDA PARTE
Ero arrivata a Torino per una vacanza e mentre mia sorella andava a lavorare io restavo con Michelina che si dava da fare a prepararci pranzetti speciali. A me piaceva molto mangiare pane e burro (venivo da un paese dove il burro non esisteva) poi quel burro era particolarmente gustoso.
Veniva conservato nella ghiacciaia.   Da Michelina come anche nelle altre case allora, non esisteva il frigo ma avevano la ghiacciaia dove riponevano il ghiaccio che compravano da un venditore di passaggio e per un po’ gli alimenti si conservavano.
Alcune mattine mi recavo dai miei zii in via Principessa Clotilde e spesso mio zio mi portava con lui in ufficio. Il suo ufficio era alla prefettura di Torino  in  piazza Castello vicino al teatro Regio, al palazzo Reale e a Palazzo Madama.  Curiosa come sempre mi impadronii di una macchina da scrivere, non l’avevo mai adoperata ma impiegai poco ad impratichirmene tanto che i colleghi di mio zio mi passavano delle pratiche da scrivere e per me era un piacere scrivere con questo aggeggio.
Mi sono fatta dare dei fogli da mio zio e cominciai a scrivere i miei racconti non più con la biro ma a macchina. Ci avevo preso gusto e così tutte le mattine andavo con lui  in Prefettura.  Mi piaceva anche perché assaporavo il piacere di uscire, con lui, alle ore undici per andare a prendere il caffè da Florio il bar frequentato dagli impiegati della zona che era a pochi passi, in via Po.
Bar elegante, molto antico e che esiste ancora.
Dopo questo rito si tornava in ufficio.
Accadde che un collega dello zio, una mattina, mi chiese se non era nelle mie intenzioni di fermarmi a lavorare a Torino. Un suo amico cercava una impiegata e secondo lui potevo presentarmi perché il lavoro da svolgere poteva essermi congeniale.
Accompagnata da mio zio ci siamo recati a questo colloquio che avvenne in casa di questo amico ed era  in via Biella via che incrociava con via Brindisi dove abitavo.
Ci accolse una bellissima signora, molto elegante e  gentile che ci ha fatto una ottima impressione,
In modo speciale a mio zio che apprezzava molto le bellezze femminili.
Lei ci spiegò che era un incarico per registrare fatture e svolgere la corrispondenza.
Al mattino dopo mi recai in questo magazzino, in via Piave, dove trovai a ricevermi una signora molto avvenente che mi diede subito qualcosa  da fare,  dovevo scrivere delle lettere ad alcuni fornitori e lei aveva preparato delle minute dove si  esprimeva in maniera molto colorita e la grammatica aveva smesso di avere la sua funzione.
Tutto l’ambiente attorno mi  confondeva, vi erano presenti un ragazzo imbronciato e una ragazza magra ma carina, molto sorridente. Il fatto era che mentre io cercavo di decifrare quelle lettere e le scrivevo a macchina, loro parlavano o meglio gridavano a voce alta parlando uno stretto veneto per me incomprensibile.
A Dio piacendo cercai di tradurre quelle frasi assurde e riuscii a compilare queste lettere secondo il volere della imbellettata signora.
 Terminato le quali glie li lessi ed ottenni l’approvazione della signora. Avevo mitigato le frasi più crude ma venne approvato il tutto, scritto gli indirizzi sulle buste, Pietro il ragazzo che poi era il figlio partì per spedirle al vicino ufficio postale.
Anche la ragazza era sua figlia, poco dopo arrivò il marito che tutti chiamavano il Cavaliere ed era una persona molto curata che parlava un ottimo italiano . E’ arrivato con una macchina di un certo livello ma io non conoscevo le auto e non sapevo distinguere le marche ma mi avvidi che era di pregio.
Nell’insieme, in quella confusione non mi trovai smarrita e non mi spaventai,  anche perché la cosa mi faceva comodo così non si sarebbero avveduti della mia poca preparazione.
Capivo che il  tenore dei loro discorsi a voce alta  erano  di litigi ma non erano fatti miei.
Tornai il mattino dopo e poi ancora.
Alla richiesta di mio zio se mi fossi trovata bene lo riassicurai e ho continuato ad andare.
Tra una, loro lite ed un’altra cominciai a capire anche il veneto e a rendermi conto che la signora stava allestendo un negozio in una zona importante di Torino e presto sarebbe andata via da questo magazzino all’ingrosso dove subentrava il figlio maggiore che era il marito della signora bella ed elegante che avevo conosciuta con mio zio in via Biella.
A tutta quella confusione subentrarono il figlio maggiore e sua moglie.
Tutto diventò diverso. Io e la signora Ada  andavamo molto d’accordo, il marito andava a vendere i gli articolo  di ceramiche ai fioristi e altri negozi e tornava nel pomeriggio portando gli ordini delle quali preparavo le fatture e lui con l’aiuto di un ragazzo preparava gli oggetti da consegnare a il giorno dopo.
Io e Ade, visto la giovane età mia e sua, lei aveva quattro anni più di me , avevamo molto appetito ed eravamo ottime clienti di una panetteria a fianco e oltre alla pizza facevamo grossi panini ripieni di mortadella e li mangiavamo con gusto e risate.
Ridevamo molto al passaggio di un “barbone” che passava sulla strada tirando un carrettino dove aveva il suo guardaroba e tutto il suo avere (credo disdegnasse un alloggio) e guardandolo passare dicevamo, chissà se anche noi faremo la stessa fine …
 Le discussioni si ripetevano ogni qualvolta la signora padrona precedente (suocera della Adelina) veniva a prendere oggetti per il suo nuovo negozio e non si capiva se andavano fatturati ma certamente non li pagava e non aveva nessuna importanza se non venivano detratti dalla merce  in deposito magazzino.
Tanto non si capiva niente, il tempo trascorreva e in qualche modo si pagavano le tratte che arrivavano con gli incassi della giornata.
Raccontare questo andazzo sarebbe lungo e complicato ma io cominciai a preoccuparmi per i pagamenti di fine mese tanto da patirne come se fossero stati impegni miei.
Il cavaliere si dava da fare per escogitare nuove entrate da devolvere alla moglie che si adirava con lui rivolgendogli invettive quando non era soddisfatta.
Tutte questa notizie ci giungevano tramite telefono linea molto attiva in quel magazzino.
A queste sfuriate seguivano mattinate di calma e  chiacchiere liete con la Adelina che aveva un bambino di due anni che era guardato, a casa, da una beby-sitter.
Il Cavaliere si trovò a comprare una fabbrica di ceramiche ad Albisola mare,  patria di famose ceramiche.
Rilevò un patrimonio interessantissimo e naturalmente tutti i pezzi più importanti finirono nel negozio di Via Milano che rendeva molto e lo gestiva da sola la signora Nana (chiamata così dal marito  per un diminutivo di Giovanna)
Una frase che mi è rimasta in mente era quella che il cavaliere rivolgeva a sua moglie quando voleva calmarla: “Nana sta brava”
Non credo che queste persone si fossero rese conto di cosa avevano trovato ad Albisola. Il precedente proprietari ospitava artisti  molto in voga nel periodo e che in questa fabbrica andavano per sperimentare le loro opere d’arte. Tra questi vi era il famoso Lucio Fontana. (Per intenderci quello famosissimo delle tele con i tagli) che provavano le loro opere e lasciavano molti pezzi prova.
Il Cavaliere con i suoi figli adoperavano questa fortuna per farne regali a persone importanti o che prestavano loro del soldi.
Ho visto passare piatti di Fontana ed altri regalati con una facilità estrema. Oggi valgono una fortuna ma anche allora erano già apprezzatissimi.
Questa famosa fabbrica di ceramiche, il Cavaliere decise di trasportarla a Torino a allo scopo affittò un grande magazzino a Settimo torinese (diciamo periferia di Torino).
In men che non si dica, tutta questa attrezzatura vasche torni e soprattutto forni vennero trasportati e istallati a Torino.
Fu così che mi ritrovai ad essere l’impiegata unica di questo enorme complesso.
Quanta meraviglia nel vedere questi forni e assistere alle creazioni di oggetti con questo materiale che a me sembrava fango e per magia si trasformava in splendidi oggetti.
Il cavaliere e sua moglie si recarono nel veneto e tornarono con un gruppo di persone provetti ceramisti ai quali assicurarono uno stipendio adeguato e fornito loro alloggi abitazioni.
Questi operai comprendevano un esperto modellatore di oggetti artistici. Esperti di miscele per materiale occorrente a realizzare statue e vasi artistici tanto che la ditta fu intitolata. Ceramiche Artistiche.
In quel lungo magazzino avevano trovato posto i tre forni e all’ingresso vi era una stanza occupata da una scrivania per me e di fronte un’altra dove spesso si fermava il cavaliere.
La fabbrica iniziava con lo spazio dedicato all’artista che  inventava le opere, poi di seguito vi trovavano posto due tornitori che facendo girare il tornio ed  eseguivano vasi, portaombrelli e altri oggetti che quelle sapienti mani sapevano creare adoperando quella argilla. le mani i piedi che azionavano quel tornio dove spuntavano come in un miracolo  oggetti stupendi che venivano poi cotti al forno e al mattino da quelle bocche  spente dal fuoco uscivano oggetti divenute bianche.
Una serie di ragazzine erano poi intente a dipingere questi oggetti che venivano poi nuovamente cotte in quei forni e le pitture rimanevano impressi in quelle ceramiche.
Alcuni oggetti erano finiti con questo procedimento ma altri venivano impreziositi con rifiniture in oro zecchino e poi rimessi in forno per la definitiva cottura .
Gli oggetti scelti venivano inseriti in un catalogo numerato fino a creare un campionario di almeno cento oggetti che venivano fotografati formando un catalogo da presentare, per la vendita, a negozi di casalinghi e fiorai.
Continuerò a raccontare premettendo numerose evoluzioni e accadimenti in questa fabbrica dove ho imparato a districarmi in tutte le incombenze amministrative.
                                
                                                               Maria Mastrocola Dulbecco
 
 
 
 
 

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