giovedì 31 agosto 2017

Strada San Salvo-buona notte (ricordi)


 All’IMBRUNIRE   SULLA STRADA  DA SAN SALVO  A  BUONANOTTE

 

C’è un momento della sera in cui è particolarmente gradevole indugiare per le strade periferiche dei paesi.

È quel momento che precede la sera ed è troppo presto per accendere le luci e troppo tardi per distinguere bene il circostante.

È un’atmosfera magica, da assaporare con il fiato sospeso, tanto l’attimo è fuggente.

Nell’aria si avverte qualcosa che fa vibrare il nostro essere e la nostra sensibilità si fa più attenta.

Sono in vacanza e mi è caro passeggiare a quell’ora, lungo quella strada che percorrevo ogni giorno, ragazzina, inseguendo i miei sogni.

Allora quella strada era silenziosa e quasi deserta, portava in periferia, fiancheggiata da oliveti e da stradine che si immettevano nei campi a interrompere la linea continua di quell’asfalto bruno.

Le persone che incontravo erano poche, ma le conoscevo tutte.

Ora, con meno sogni, ma con il desiderio di rivivere emotivamente quei momenti, cammino e osservo attenta.

Tutto innanzi al mio sguardo è uguale negli sfondi che intravedo tra le nuove case ma è diverso nei particolari. È uno scenario molto più popolato, però io mi sento sola.

Nessuno saluta me e nessuno ho da salutare io.

Ho provato più giorni a rifare quel percorso e tutto si ripete sempre uguale.

Suggestionata dall’ora e sicuramente dalla recente lettura di un romanzo di letteratura fantastica di Bioy Casares, mi sembra di percorrere una strada popolata da persone che ripetono periodicamente la stessa strada, con passi e gesti sempre uguali e alla stessa ora del giorno precedente.

Come nell’ “Invenzione di Morell”, le persone che vedo affollare il viale, in quel magico silenzio senza più ombre, scivolano silenziose e sembra obbediscano ad un preciso ordine prestabilito.

In silenzio, senza interruzione, si avvicendano e ricevo l’impressione di vedere persone che agiscono in uno scenario irreale e reale allo stesso tempo, appunto come nell’invenzione di Morell che consisteva nell’essere riuscito a riprodurre un periodo di vita ripetitivo che si attuava azionato da una complessa macchina messa in movimento dall’alta marea.

Vi sono immersa ma non ne faccio parte. Quel mondo fantastico prende consistenza nei miei pensieri. Io desidero far parte del loro mondo ma contemporaneamente me ne sento esclusa.

C’è una barriera a dividermi da loro: la barriera del tempo.

Il loro mondo mi appare uguale, ripetitivo di anno in anno. Gli stessi volti, gli stessi gesti. Ripropone situazioni ed azioni in cui non è possibile immettersi e dove per caso mi trovo apassare senza nessuna possibilità di interloquire con loro.

La tentazione di fermarmi e chiedere se vivo nella loro realtà è forte, tento di fare un gesto per fermare qualcuno, lo faccio.

Nessuno si accorge della mia presenza.

Proseguo la mia strada affascinata, guardo quell’imbrunire che tende ormai alla notte ed affretto il passo verso casa.

Quella casa che appartiene al mio presente e corro a ritrovare quegli affetti senza i quali mi è difficile continuare il cammino.

 

1985                                               Maria Mastrocola Dulbecco

 

 

 

 

 

 

 

sabato 19 agosto 2017

Un sogno d'estate

Troppo belli questi versi di LUCIA

4 agosto alle ore 2:55
UN SOGNO D'ESTATE

  E se riuscissi nel labirinto
di un sogno d'estate
a guardare in fondo
alle onde che incessanti
approdano tra i miei piedi nudi?
Andrei lì in quegli occhi verdi
a scrutare l'anima
a scrutare il tuo io vagabondo
che percorre solitario
il sentiero del mio cuore stanco.
Amo, si amo il tuo spirito
che incontra il mio ormai spaurito.
Non posso, non posso più
allontanarmi dal tuo cuore
che guarda con occhi lucidi
il mio che va incontro al tramonto.
E intanto ascolto,
ascolto la tua voce mai stanca
di parlare, che penetra lungo i fianchi
del mio emisfero addormentato
e lo sveglia dal sono saraceno.
Aiutami amore mio, aiutami a contare
i giorni che restano a questa vita
raminga e solitaria
a questo mio corpo ancora pieno di te.

  LUCIA GIONGRANDI

domenica 13 agosto 2017

RICORDI UNITRE 2012

Sfogliando tra gli scritti dei miei amici  del "Laboratorio di scrittura unitre, ho trovato un simpatico scritto di  RINALDO  AMBROSIA e mi piace riproporlo:




Partitura per versi e prosa

Sono voci che in quell’aula prendono forma.
Dapprima incerte, flebili, timorose, accennate. Parte il solista e il direttore inizia a scandire i tempi, a dirigere la partitura. Tu ti ritrovi tra altre persone che danno forma e vita alle loro pagine, alle loro parole. C’è un passato che si srotola, tra gioie e dolori, tra le pagine di vita e le storie che si intrecciano, che scaturiscono da un’infanzia comune. Luci e ombre di amori negati. Gesta di genitori che hanno cresciuto i figli sotto una pioggia di bombe.
Ci sono passioni sopite che urlano forte la loro presenza e la gioia di un verso fa capolino come un raggio di sole. Una partitura ti accompagna tra i sentieri agresti. Storie di città; oggetti che, come relitti, affiorano dal passato. E tu navighi, cullato dal suono delle storie, percorri sentieri che mai avresti conosciuto.
La poesia si fa spazio, ti sembra una fata che cammina a piedi nudi nella rugiada del bosco, ma il laboratorio reclama forte l’uomo faber. Il direttore d’orchestra chiede l’attenzione dei musicisti e allora, a casa, nelle pieghe del silenzio, tra gli spazi vuoti del giorno, chiudi fuori gli affanni e inizi a scrivere e a comporre.
Superi l’impatto dell’onda bianca del foglio, ti sembra una slavina che si infrange sui tuoi occhi e fa male quel biancore che ferisce. Scrivi, mentre acchiappi i tuoi sogni, imbrigli le tue passioni e trascini tutto sulla carta; lì vedi le parole nascere, un’aiuola che sboccia e fiorisce. Un soggetto va alla ricerca del suo predicato, un attributo cerca il suo sostantivo, mentre la congiunzione si lega a due periodi. Consegni alla scrittura il tuo mondo interiore, tutta la tua vita. É una partitura musicale che abbandona il foglio e si diffonde nell’aria.
Nel fare ciò, c’è un senso di piccolezza che ti coglie, ti sembra di rimpicciolire tutto, di farti da parte mentre la parola s’ingrossa e prende forma, mentre la storia cresce e si dipana. Sembra che ti spinga fuori, che ti releghi al ruolo di osservatore.
Tu sei solo un padre occasionale, lei è lì che vuole nascere e vedere la luce. Poi, quando tutto è concluso, prendi il foglio e nel laboratorio, sotto l’attenta direzione di Maria, dai fiato al tuo strumento e le parole fioriscono e si diffondono, rimbalzano nell’aula e, tra tutti i partecipanti, cresce e prende corpo la polifonia.
Laboratorio di scrittura dell’Unitre di Rivoli
Direttore: Maria
Musicisti: Rosy, Ivana, Anna, Beatrice, Silvana, Rosa Maria, Luciana, Rosa, Silvy, Maria Luisa, Gina, Mara, Lucia G. Lucia Z.
Renato, rinaldo Domenico, Osvaldo, Beppe, Franco,

                                                                                     rinaldo ambrosia, marzo 2012

 

giovedì 3 agosto 2017

Grazie Pablo!!!



Il componimento di un amico  dell'ultimo anno, molto gradito a tutti i componenti del mio
"Laboratorio di scrittura"
 
GRAZIE PABLO!!

 
lasciano un solo sole vuoto in un letto.
Di tutte le verità scelsero il giorno:
non s’uccisero con fili, ma con un aroma
e non spezzarono la pace né le parole.
E’ la felicità una torre trasparente.
L’aria, il vino vanno coi due amanti,
gli regala la notte i suoi petali felici,
hanno diritto a tutti i garofani.
Due amanti felici non hanno fine né morte,
nascono e muoiono più volte vivendo,
hanno l’eternità della natura.

 

da Cento sonetti d’amore di Pablo Neruda  

 

NERUDA è il primo poeta che ho amato nella mia vita di giovane uomo.

 

Quelli della scuola elementare e media, Pascoli, Carducci, Leopardi e gli altri li avevo subiti con non poca sofferenza da insegnanti tiranni ed ortodossi.

 

Era il 1969, avevo 20 anni, e da poco avevo conosciuto una giovane di nome Cristina di 17.

 

Faceva il liceo classico, colta, intelligente e curiosa mi aveva aperto la mente alle cose belle: letture, teatro, impegno politico, musei, curiosità.

 
Lavoravo di giorno e la sera andavo all’ Università, il mio tempo libero passava fra lei, il basket, letture, qualche amico e la famiglia.

 
Il giorno di un mio compleanno arrivò all’appuntamento con un bellissimo libro, I cento sonetti di Pablo Neruda, poeta cileno.

 
Poeta del’ amore, del sociale, della politica, della società civile, della natura umana.

 
Neruda fu per me una folgorazione, lessi e rilessi quelle poesie, assetato com’ ero di emozioni e vibrazioni per la passione amorosa che stavo vivendo.

 
Da lui ispirato scrissi molti versi. 

 
A distanza di quasi 50 anni non dimentico un attimo di quei momenti. GRAZIE PABLO!!

 
Neruda sarebbe morto poco dopo, il 23 settembre 1973 quasi sicuramente ucciso ad opera di sicari del dittatore Pinochet con la collaborazione di agenti della CIA.

 
In seguito mi appassionai ad altri poeti, Pavese fra tutti, ma in modo tiepido, il MOLOCH del lavoro mi divorava, convogliando le mie energie migliori nell’ ingranaggio micidiale dell’efficienza e produttività.

 
Fino all’ altro ieri mattina quando finalmente mi sono improvvisamente svegliato padrone del bene più prezioso, IL TEMPO.

marzo 2017                                                   Cesare Tambussi