giovedì 30 aprile 2015

IL BAULE (racconto di guerra)

Ricordi della guerra
Il baule di Ciocco 
e lo sfollamento a Cupello
     di Maria Mastrocola Dulbecco
 








PREMESSA:
Seconda guerra mondiale  1943. Dopo il famoso armistizio dell’8 settembre gli alleati vennero su per la nostra Italia dalla Sicilia su per la Calabria, Puglie e il primo fronte organizzato dai tedeschi per fermare l’avanzata è stato sul Trigno,  al confine con l’Abruzzo, proprio nel mio paese San Salvo.
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Donna Elvira Artese Ciocco venne a casa e confabulando con mamma ed altre donne, decisero di nascondere gli oggetti di valore in un armadio a muro, che noi avevamo in cima alla prima rampa di scale. Donna Elvira  e Francesca, portarono un baule, Carmela uno scatolone, forse anche Marietta, e nell’armadio a muro, oltre ad altri oggetti, vi depositammo la cosa più preziosa della casa: una radio.
Subito dopo un muratore provvide a chiudere quell’armadio con i mattoni e l’intonaco, dipingendo il tutto con la stessa tinta del muro circostante.
Erano tutti soddisfatti di aver realizzato questo stratagemma che doveva servire a nascondere le poche cose preziose ai tedeschi.  Io credo che neppure per un attimo passò loro, per la mente, che una bomba potesse distruggere i loro ricordi;  nè mia mamma pensò che poi avrebbe pianto molto per quel baule dei Ciocco.
Infatti, quando arrivarono gli inglesi, l’incubo di mia madre, e tutti noi,  fu un  ufficiale scozzese con il gonnellino a pieghe ed un frustino in mano che, con un codazzo di militari appresso, avendo saputo di quel baule, ogni tanto veniva a casa dicendo alla mamma di non restituire niente ai proprietari, fino alla sua prossima visita.  Cercavano documenti che appartenessero a Don Vitaliano perché lui, deportato dagli alleati al confino, era stato un importante esponente fascista di Chieti.
In verità in quel baule non trovarono nessun documento, ma bellissime stoffe e oggetti di pregio che io bimba,  sospettavo piacessero molto al militare in gonnella.
Tra una visita e l’altra dell’ufficiale, arrivava Donna Giovanna, figlia di Donna Elvira e don Vitaliano, che pregava la mamma di restituirle quel baule mamma, ma ella  non poteva perché il militare con il gonnellino, puntualmente veniva a farle visita.
Erano scene  bruttissime perché Giovanna inveiva contro la mamma e non capiva che lei aveva avuto l’ordine di non ridarglielo. Così che la nostra amicizia con  loro finì con solenne bisticciate.
Questa storia terminò con l’arrivo del personaggio in gonnellino, che dichiarò di confiscare quel baule per ordini superiori, e con i suoi militari si portò via il baule con i suoi tesori.
Sollievo da parte della mia mamma.
 A me restò il pensiero che a quel militare, piacessero quegli oggetti.
Malizie di bimba che non aveva mai visto oggetti più belli. In seguito mi ricredetti.
Ritorniamo alla guerra. 
Nell’imminenza dello scontro i tedeschi ci fecero evacuare da San Salvo verso nord.   Quella sera, nel tardo pomeriggio,  il podestà a bordo di un sidecar (appendice della moto), girava per tutto il paese, invitandoci a sfollare. Tutti  frettolosamente raccolsero i pochi indumenti necessari.  Io e la mia famiglia, tra una folla di gente, ci incamminammo a piedi verso la strada del cimitero, che ci portava fuori del paese. Per quella strada, verso Cupello, si formò una lunga coda di persone in cammino. Un esodo mai visto. Tutti a piedi, nessuno aveva automobili come ora.
Intanto si era fatto buio.  Ci fermammo alla prima masseria incontrata, che era dei casolani,  clienti della mamma.  Non fummo i soli a fermarci lì. I casolani, poveretti, fecero quello che poterono e ricordo che su un materasso, appoggiato per terra, vi dormimmo  un numero esagerato di persone.
All’alba riprendemmo il cammino e in poche ore arrivammo dai parenti  che ci accolsero calorosamente, improvvisando deschi e letti,  per attendere insieme la fine della guerra.
Noi eravamo sfollati a Cupello per non essere sulla linea del fronte, ma da lì si assisteva e si sentivano i cannoneggiamenti e spesso, noi bambini, ci divertivamo ad osservare i duelli aerei tra i due contendenti.
Una mattina tutti assistemmo al sorvolamento di due aerei da ricognizione che si abbassarono sul paese e poi si rialzarono in volo, allontanadosi.
 Al mattino dopo ci accorgemmo che i tedeschi erano spariti.
Nessuno più era nelle cucine che erano di fianco a noi, nessuno più nel palazzo dove c’era il comando tedesco.  Ci  era sembrato che fosse un buon segno, pensando che erano in arrivo gli alleati.
 Ed invece no. 
Verso le 10 o 11  arrivarono formazioni di bombardieri che avevamo visto passare precedentemente disposti a V.  Questa volta però non erano di passaggio; si abbassarono e bombardarono proprio sopra di noi.  Nella concitazione, tutti cercammo un riparo di fortuna. In 19 persone ci ritrovammo  sotto un sottoscala,  che resistette alle esplosioni salvando le nostre vite, mentre attorno tutto era crollato.
Era accaduto che gli aerei da ricognizione del giorno precedente avevano fotografato le postazioni tedesche e quindi gli inglesi erano sicuri di colpire i tedeschi che  però avevano capito ed erano fuggiti.   Morirono molti ignari civili e fu veramente una strage. Famiglie intere scomparvero sotto quei bombardamenti .
In quel momento papà non era con noi. Si era salvato dalla morte tornando, a piedi, dalla Croazia  fino a casa. Per non essere catturato dai tedeschi, le autorità del municipio, gli avevano dato una fascia da mettere al braccio con la scritta “polizai”, perché prima di partire militare aveva fatto la guardia municipale.
Papà arrivò da noi  tutto trafelato, tra le macerie, felice di ritrovarci tutti vivi. Ci radunò e tutti insieme ci avventurammo fuori alla ricerca di un posto dove andare. Papà mi teneva per mano e le strade non c’erano più. Camminavamo tra macerie e fili, dove spesso inciampavo, scorticandomi le ginocchia.  
C’erano persone che scavavano tra le macerie e vidi gente insanguinata venir fuori da quel groviglio di mattoni e tegole. Nel cammino incontrammo compagni di sventura che ci invitarono ad andare con loro.  Finimmo in una cantina piena di botti, dove dissero che avremmo trovato riparo.
Passammo una notte che non avrei mai più dimenticata.
In mezzo a quelle botti enormi di vino (si usava allora che i proprietari di terreni, con tanta uva, producessero  il vino per poi conservarlo in grandi botti di rovere), erano in tanti coloro che, salvatisi da quel primo bombardamento cercavano un riparo. 
Alcuni  pregavano a voce alta, invocando la protezione di Dio, altri assistevano noi bambini  improvvisando cuccette per farci dormire. 
Ricordo che in mezzo a loro c’era un uomo che dava in escandescenze. Era il padrone dello scantinato. Gridava forte insultandoci perché avevamo invaso la sua cantina.  Gridava dicendo che ci avrebbe ammazzati tutti e inveiva brandendo quello che gli capitava tra le mani.  Noi bambini eravamo impauriti mentre gli uomini presenti, gli si misero tutti attorno, cercando di rabbonirlo.
In qualche modo la notte passò e mamma e papà decisero che all’alba saremmo partiti per San Salvo.
Cupello subì un altro bombardamento nella mattinata.
Alcune voci dicevano che a San Salvo erano arrivati gli alleati ma non ne avevamo nessuna certezza.
Ciononostante papà decise che dovevamo rientrare a casa e così la nostra famigliola si avventurò a piedi verso San Salvo, scendendo giù dalla “rasc-ca” di Cupello.
Attraversammo campi incolti dove, sapemmo poi, vi erano disseminate mine, ma ne uscimmo indenni. Evitavamo altre strade nel timore di incontrare tedeschi.
Fortunatamente arrivammo a San Salvo dalla parte di lu “termine” e subito incontrammo due militari che passeggiavano: erano inglesi.
Felici ci avviammo verso casa ancora in corso Garibaldi.
Arrivati a casa, la trovammo piena di gente che festeggiava la liberazione e stavano imbandendo una tavolata, con un nostro porcellino che avevamo lasciato in custodia a dei nostri vicini che avevano una stalla,  i quali  non erano stati cacciati dai tedeschi perché avevano una malata molto anziana in casa.
Ricordo che ci accolsero festosamente, scusandosi per averci invasa la casa, ma papà li riassicurò dicendo loro che avevano fatto bene.
 Ci invitarono a questo desco e a capotavola  c’era un personaggio che si chiamava “Farravaune” .
Questo nome lo ricorderò per sempre, perché fu lui ad accusarci, con gli inglesi, di aver nascosto nel muro i documenti di Ciocco. Lo seppe proprio durante quel pranzo di quel baule che avevamo murato in un armadio su per le scale.
Infatti fu proprio lui ad accompagnare  il famoso ufficiale dal gonnellino, presenziando entrambi alla rottura di quel muro.
Tutto questo procurò molti dispiaceri alla mia famiglia.
La vita ricominciò ed anche  la nostra radio riprese il suo posto. Affinchè funzionasse bene chiamarono Senofonte Ciavatta che sistemò una antenna che usciva dalla finestra e attraversava tutta la “rualle” , per fermarsi sul muro di fronte.
In seguito mamma andò a scegliere una radio nuova da Guerino Cilli, almeno credo, che aveva un negozio a lu “quartabball”, in via Roma,  dove poi acquistò tutti i nuovi ritrovati domestici: una  cucina a gas e altri aggeggi utili al funzionamento della casa, che prima della guerra non esistevano.
Avevo una mamma moderna che faceva la sarta ed apprezzava le novità tecnologiche. Amava lo sport e tifava per Bartali e fu così che il foglio rosa della Gazzetta dello sport, l’unico giornale che arrivava a San Salvo, entrò in casa nostra.
Poi arrivò la politica ed insieme a mia madre ce ne siamo molto occupate, nonostante la mia giovane età. Non avevo ancora undici anni ma già  partecipavo attivamente alla Azione Cattolica, come segretaria delle Aspiranti e redigevo i verbali delle riunioni.
Fu in quel periodo, che insieme ad un esiguo numero di ragazze, cominciammo ad aiutare Lellino Artese  e la Democrazia Cristiana.
I due partiti predominanti erano: Il partito Comunista,  diretto da Carlo Alberto e la democrazia cristiana, con la direzione occulta di Don Cirillo.
I  due spesso si scontrarono, proprio come Peppone e Don Camillo,
Uno alzava l'altoparlante quando c'erano i comizi democristiani .
L'altro faceva suonare le campane quando i comizi erano dei comunisti.
 
                                                                                  Maria Mastrocola Dulbecco


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