martedì 21 febbraio 2012

Un amore proibito

Un amore proibito


Un sottile dolore: ecco quel che mi passa nella mente quando ci penso. Non un dolore fisico, ma una sensazione mentale che si trasforma in una sorta di oppressione qui, al centro del petto, non pesante, ma appunto, sottile.
Son passati anni, ormai, più di venti. Periodo di lavoro un po’ caotico, ero entrato nella famosa fabbrica torinese come consulente informatico esterno, con pochi diritti e tanti doveri. Il progetto a cui ero stato assegnato non decollava, le analisi apparivano troppo complesse per il risultato sostanzialmente piccolo che si voleva ottenere, ma tant’è: l’analista interno comandava e tu dovevi obbedire. Alla fine decisero che erano necessarie altre persone per finire il lavoro, e ingaggiarono altri consulenti esterni. Il giorno del loro arrivo, giro di presentazioni: tre, tutti giovani, fra cui una ragazza. Simpatica a pelle, biondina, minuta, ma tanto carina. Forse nel mio giudizio, ed in quello che successe poi, influì il fatto che amava le mini vertiginose...ma aveva anche delle belle gambe, perdiana, quindi ben venga la mini!
La misero inizialmente vicino al capo progetto, in modo che acquisisse un po’ di conoscenze sul lavoro da fare. Lo ricordo ancora con molto piacere, il capo, era una persona spiritosa e cordiale, in certi momenti un po’ eccessivo e generoso di apprezzamenti pesanti verso le signore di qualsiasi età, tanto che un po’ per questa sua caratteristica, un po’ perché era anche tondo e rubizzo, fu soprannominato “crin”, cioè maiale in piemontese. Però non allungava mai le mani, quindi le signore ci ridevano su e lo lasciavano dire, tanto “era inoffensivo”. Anche lei fu naturalmente oggetto di queste “attenzioni”, ed i commenti pesanti sulle belle gambe e le gonne corte abbondarono. Da subito, come detto, quella ragazza mi aveva fatto simpatia, e più la osservavo, e più mi piaceva. Per me, in una donna sono gli occhi la cosa che per prima mi attrae, se non c’è quel “quid”, anche il resto non ha la stessa importanza. Può anche essere la donna più bella e più “gnocca” del mondo, ma se gli occhi non mi parlano, rimane solo una bellezza esteriore, ai tempi avrebbe smosso solo qualcosa sotto l’ombelico (oggi, purtroppo, l’età, eeeh...), ma non nella testa. I suoi occhi mi piacevano, mi parlavano, e più mi piaceva, più mi infastidivano le attenzioni di altri, che le facevano avance senza ritegno alcuno. Quand’ero seduto alla mia scrivania, lei era poco distante, e mi sorprendevo ad osservarla facendo finta di guardare qualcosa sul monitor di fronte a me. Quindi il lavoro languiva...
Il “crin” la mise a lavorare vicino a me, sullo stesso pezzo di progetto. Secondo me lo fece apposta, si era accorto di quel che mi passava per la testa, si vede che l’avevo scritto in faccia... Dal punto di vista produttivo, fu un disastro: non riuscii a combinare più nulla di buono, sbagliai analisi, fui costretto a rivedere pezzi già in fase di test, più volte mi dovetti fermare fino a tardi per correggere errori... e sempre con lei vicino. A pensarci bene, forse anch’io, inconsciamente, feci apposta a combinar casini. Vicino a lei ero felice, nonostante i quindici anni di differenza, chiacchieravamo anche di fatti nostri, lei si confidava, si scherzava, si prendeva il caffè insieme, e poi si ricominciava a lavorare. E così via, fino all’uscita (ci mancava poco che spegnessimo le luci e chiudessimo il portone...). Spesso l’accompagnavo a casa in auto, abitando poco distanti, e giù altre chiacchiere...
All’improvviso, mi resi conto che mi ero invaghito di lei. Non ho voluto dire innamorato, ma forse quest’ultimo termine è più corretto.
E mi sentii male. Mi sentii in colpa. Verso la famiglia, la moglie e le figlie. Stavo lasciandomi andare ad un sentimento che non doveva esistere. La sera non riuscivo ad andare a letto, e me ne stavo sul divano a pensare perché fosse successo proprio a me, con una gran voglia di piangere, e non capendone il motivo. Ma il motivo era chiaro: sentivo che era un amore proibito, e la rinuncia ed il senso di colpa richiamavano ambedue le lacrime. Era tutto nella mia testa, ma faceva male al cuore.
Un giorno, un sabato di orario straordinario, le confessai quello che sentivo, e quanto ci stessi male. Lei aveva capito tutto: come dice oggi il Liga “le donne lo sanno”, sanno sempre tutto, sanno sempre prima, lo leggono in faccia, negli occhi, nei comportamenti. Noi poveri maschietti siano troppo prevedibili, le femmine hanno un “imprinting” mentale per riconoscere i nostri pensieri, i nostri desideri, millenni di capacità psicologiche registrate nel DNA. La tranquillizzai per il futuro: non le avrei mai dato fastidio, quello che mi stava succedendo mi aveva fatto capire che la cosa più importante era e restava la mia famiglia.
Avevo fatto quello che dovevo, ma girare le spalle e andarmene per la mia strada, lasciando lei alla sua, mi era costato veramente tanto.
Ho continuato a volerle bene, forse in modo diverso, ma non l’ho dimenticata. Oggi siamo ancora amici, e non abbiamo mai più rivangato quei fatti. Per fortuna...


Seduto sul divano, la luce soffusa,
non so che pensare, ho la mente confusa
rivedo i tuoi occhi, che belli i tuoi occhi!
ma sono lontani, e non vedo sbocchi
tu sai, tu lo senti, tu vedi il mio cuore
e sai, e lo senti, che è pieno d’amore
sei giovane e bella, la vita ti attende
ma il cuore mi duole, una lacrima scende,
la vita ti aspetta, questo amore è proibito
ora spengo la luce, ed è tutto finito
                           Domenico Signorono

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