mercoledì 6 dicembre 2017
NATALE
NATALE
Natale, quando ero piccola ricordo solo presepi, fino ai dieci anni.
Poi con zio Gaetano che arrivava da Torino a trascorrere il Natale con noi, arrivò anche l'albero di Natale. Ingegnosamente lui cercava un bel ramo di ulivo (da noi i pini non c'erano) lo metteva in un vaso e l'addobbava con caramelle, aranci. mandarini e quanto era possibile trovare da noi.
Paolo mio cugino era più piccolo di me di circa quattro anni ma avevamo una perfetta intesa. Si giocava nella stanza grande di mia madre al terzo piano della casa in cui abitavamo allora e questa diventava teatro dei nostri giochi. Ci impadronivamo di una bella vestaglia di zia Maria (sua madre) dei suoi belletti, i suoi cappellini e di fronte al grande specchio dell'armadio di mia madre ci esibivamo copiando scenette dai giornalini che avevamo. Cercando e frugando avevamo scoperto una bottiglia di un certo liquorino rosso molto dolce e ne approfittavamo a berlo di nascosto e forse anche quello ci aiutava ad essere allegri e ridevamo come matti. Io mi divertivo ad intrecciare dei nastri tra le dita dei piedi per creare scarpette dalle fogge più strane.
Il natale mi ricorda i miei presepi:
Iniziavo a prepararli già verso la fine di novembre e ricordo i vari posti nelle varie case in cui abbiamo abitato.
Se la mamma pensava che non avremmo avuto ospiti e per mangiare, anche a Natale, bastava il tavolo della ampia cucina, mi consentiva di allestirlo sul lungo tavolo della sala da pranzo.
Per l'occasione me lo faceva appoggiare al muro ed allora era una festa. Chiedevo ai parenti che si recavano nei campi di portarmi del muschio vero (quello finto non si vendeva da noi come non si vendeva alcun altro elemento) raccattavo cartoni, carta rossa delle caramelle Rossana, carta argentata di qualche raro involucro di cioccolato ricevuto in regalo e persino la stagnola, appositamente pulita, dei formaggini che qualche volta mangiavo a merenda.
Cominciavo con il fabbricare le casette, alle finestre mettevo appunto la carta rossa delle caramelle poiché quando tutto era allestito dentro le casette mettevo dei bicchieri con acqua e poi olio che galleggiava e sopra un lumino acceso per creare le luci rosse . Ritagliavo la stella cometa, un angelo disegnato alla meglio, riciclavo la carta da pacchi per creare le montagne e fare la grotta.
Uno sfondo di stelle su carta azzurra, stelle stampate da me, montagne marroni striate di calce bianca, stradine di farina in mezzo all'erba vera di muschio, specchietti e carta argentata per laghetti da sogno, ruscelli disegnati con fili d'argento e pochi, pochissimi personaggi di terracotta arrivati per caso e comprati a Vasto negli anni.
I principali protagonisti, non mancavano. Maria Giuseppe e il bambino adagiato la notte di Natale appena arrivata da messa. Immancabile un pastorello con un agnello sulle spalle, una lavandaia al ruscello e qualche pecorella al pascolo. Due ochette sul laghetto e tanta tanta fantasia da bastare a renderlo il presepe più bello del mondo tanto da chiamare i vicini a vedere questo capolavoro.
Con il tempo sono riuscita ad avere anche i tre Re Magi che mettevo fin dall'inizio avvicinandoli man mano fino al giorno della befana. Il mio ricordo più bello dei miei solitari Natali di bimba.
A Torino poi facevo gli alberi con giochi di luci a intermittenza e anche da grande passavo ore a contemplarli e a creare diverse composizioni di giochi di luce.
Viva il Natale, che sia festa di pace per tutti
Maria Mastrocola Dulbecco
venerdì 1 dicembre 2017
sSullo scrivere
Sul leggere e scrivere
Una nemica
dello scrivere e leggere è la pigrizia.
Qualche
volta i pensieri vogliono restare segreti. I ricordi affiorano ma non si
ha voglia di comunicarli o meglio: ci assale la stanchezza... forse più
la pigrizia e si rimanda tutto a domani domani domani.
Così
facendo i giorni diventano settimane, le settimane mesi, i mesi anni. Gli anni
decenni…
Con
il passare degli anni la lettura diventa
rallentata e la scrittura peggio.
Ma
quando si scrive ricordarsi che:
Prima di tutto per saper
scrivere, bisogna saper leggere!!!
domenica 12 novembre 2017
Siamo come il ciao Piaggio
Il testo di un nuovo amico:
SIAMO COME IL CIAO PIAGGIO
Lei
se n‘è andata, mi ha lasciato,
non
so ancora, davvero,
non
so dove ho sbagliato
abbiamo
insieme riso
le
sue lacrime ho asciugato
e
non so quante volte ho accarezzato il viso.
Basta
da oggi mi voglio vender caro
non
voglio avere in bocca
quel
cattivo gusto amaro,
da
domani il mio cuore più non si tocca
lo
metto a doppia chiave
nascosto
in una rocca,
domani
sarò cinico, sarò un duro
non
voglio sbatter più
la
testa contro il muro.
Stasera
esco, si va a far soffrire donne.
clic
clac screec
cazzo....
che bella luna c'è stasera
non
è mancanza di coraggio
se
siamo come un ciao piaggio
non
si cambia mai.
Rino
Pedone
giovedì 9 novembre 2017
Consigli
Consigli
agli allievi Unitre
Non pensare di essere arrivati troppo tarsi per sedersi a
scrivere una storia.
Non si arriva mai troppo tardi, guai se tutti gli
scrittori avessero pensato questo. Si sarebbe fermata la letteratura e atrofizzati tutti i cervelli.
Ognuno ha il suo modo di raccontare, vi sono persone nate per questo, sono “narratori nati” io in famiglia avevo zia Graziuccia, che era nata per raccontare e da piccola mi dicevano che le assomigliavo.
Le vostre paginette mi dimostrano che, se volete, potete raccontare e rivestire una storia con le vostre parole. Si scrive prima per se stessi e poi per gli altri.
Cercate di essere sintetici e poi con la vostra proprietà di linguaggio, potrete inventare qualsiasi storia, basta osservare il mondo che vi circonda.
Imporsi di scrivere ogni giorno qualcosa, anche solo dieci minuti ma farlo sempre, anche se quello che scriviamo, dopo una attenta lettura, finisce nel cestino.
Grazie per quanto mi avete dato e continuate a darmi con le vostre dimostrazioni di affetto apprezzando il poco che riesco a fare per voi.
Ognuno ha il suo modo di raccontare, vi sono persone nate per questo, sono “narratori nati” io in famiglia avevo zia Graziuccia, che era nata per raccontare e da piccola mi dicevano che le assomigliavo.
Le vostre paginette mi dimostrano che, se volete, potete raccontare e rivestire una storia con le vostre parole. Si scrive prima per se stessi e poi per gli altri.
Cercate di essere sintetici e poi con la vostra proprietà di linguaggio, potrete inventare qualsiasi storia, basta osservare il mondo che vi circonda.
Imporsi di scrivere ogni giorno qualcosa, anche solo dieci minuti ma farlo sempre, anche se quello che scriviamo, dopo una attenta lettura, finisce nel cestino.
Grazie per quanto mi avete dato e continuate a darmi con le vostre dimostrazioni di affetto apprezzando il poco che riesco a fare per voi.
Gli anni avanzano e le forze vengono meno ma, quando sono
con voi dimentico l’età e rivedo questi
15 anni con grandissima soddisfazione ringraziando il cielo che mi ha concesso
questa bellissima vecchiaia.
Grazie a tutti
Maria Mastrocola Dulbecco
.
giovedì 31 agosto 2017
Strada San Salvo-buona notte (ricordi)
All’IMBRUNIRE SULLA
STRADA DA SAN SALVO A
BUONANOTTE
C’è un momento della sera in cui è
particolarmente gradevole indugiare per le strade periferiche dei paesi.
È quel momento che precede la sera ed è
troppo presto per accendere le luci e troppo tardi per distinguere bene il
circostante.
È un’atmosfera magica, da assaporare con
il fiato sospeso, tanto l’attimo è fuggente.
Nell’aria si avverte qualcosa che fa
vibrare il nostro essere e la nostra sensibilità si fa più attenta.
Sono in vacanza e mi è caro passeggiare a
quell’ora, lungo quella strada che percorrevo ogni giorno, ragazzina,
inseguendo i miei sogni.
Allora quella strada era silenziosa e
quasi deserta, portava in periferia, fiancheggiata da oliveti e da stradine che
si immettevano nei campi a interrompere la linea continua di quell’asfalto
bruno.
Le persone che incontravo erano poche, ma
le conoscevo tutte.
Ora, con meno sogni, ma con il desiderio
di rivivere emotivamente quei momenti, cammino e osservo attenta.
Tutto innanzi al mio sguardo è uguale
negli sfondi che intravedo tra le nuove case ma è diverso nei particolari. È
uno scenario molto più popolato, però io mi sento sola.
Nessuno saluta me e nessuno ho da
salutare io.
Ho provato più giorni a rifare quel
percorso e tutto si ripete sempre uguale.
Suggestionata dall’ora e sicuramente
dalla recente lettura di un romanzo di letteratura fantastica di Bioy Casares,
mi sembra di percorrere una strada popolata da persone che ripetono
periodicamente la stessa strada, con passi e gesti sempre uguali e alla stessa
ora del giorno precedente.
Come nell’ “Invenzione di Morell”, le
persone che vedo affollare il viale, in quel magico silenzio senza più ombre,
scivolano silenziose e sembra obbediscano ad un preciso ordine prestabilito.
In silenzio, senza interruzione, si
avvicendano e ricevo l’impressione di vedere persone che agiscono in uno
scenario irreale e reale allo stesso tempo, appunto come nell’invenzione di
Morell che consisteva nell’essere riuscito a riprodurre un periodo di vita
ripetitivo che si attuava azionato da una complessa macchina messa in movimento
dall’alta marea.
Vi sono immersa ma non ne faccio parte.
Quel mondo fantastico prende consistenza nei miei pensieri. Io desidero far
parte del loro mondo ma contemporaneamente me ne sento esclusa.
C’è una barriera a dividermi da loro: la
barriera del tempo.
Il loro mondo mi appare uguale,
ripetitivo di anno in anno. Gli stessi volti, gli stessi gesti. Ripropone situazioni
ed azioni in cui non è possibile immettersi e dove per caso mi trovo apassare
senza nessuna possibilità di interloquire con loro.
La tentazione di fermarmi e chiedere se
vivo nella loro realtà è forte, tento di fare un gesto per fermare qualcuno, lo
faccio.
Nessuno si accorge della mia presenza.
Proseguo la mia strada affascinata,
guardo quell’imbrunire che tende ormai alla notte ed affretto il passo verso
casa.
Quella casa che appartiene al mio
presente e corro a ritrovare quegli affetti senza i quali mi è difficile
continuare il cammino.
1985
Maria Mastrocola Dulbecco
sabato 19 agosto 2017
Un sogno d'estate
Troppo belli questi versi di LUCIA
4 agosto alle ore 2:55 ·
4 agosto alle ore 2:55 ·
UN SOGNO D'ESTATE
E se riuscissi nel labirinto
di un sogno d'estate
a guardare in fondo
alle onde che incessanti
approdano tra i miei piedi nudi?
Andrei lì in quegli occhi verdi
a scrutare l'anima
a scrutare il tuo io vagabondo
che percorre solitario
il sentiero del mio cuore stanco.
Amo, si amo il tuo spirito
che incontra il mio ormai spaurito.
Non posso, non posso più
allontanarmi dal tuo cuore
che guarda con occhi lucidi
il mio che va incontro al tramonto.
E intanto ascolto,
ascolto la tua voce mai stanca
di parlare, che penetra lungo i fianchi
del mio emisfero addormentato
e lo sveglia dal sono saraceno.
Aiutami amore mio, aiutami a contare
i giorni che restano a questa vita
raminga e solitaria
a questo mio corpo ancora pieno di te.
LUCIA GIONGRANDI
E se riuscissi nel labirinto
di un sogno d'estate
a guardare in fondo
alle onde che incessanti
approdano tra i miei piedi nudi?
Andrei lì in quegli occhi verdi
a scrutare l'anima
a scrutare il tuo io vagabondo
che percorre solitario
il sentiero del mio cuore stanco.
Amo, si amo il tuo spirito
che incontra il mio ormai spaurito.
Non posso, non posso più
allontanarmi dal tuo cuore
che guarda con occhi lucidi
il mio che va incontro al tramonto.
E intanto ascolto,
ascolto la tua voce mai stanca
di parlare, che penetra lungo i fianchi
del mio emisfero addormentato
e lo sveglia dal sono saraceno.
Aiutami amore mio, aiutami a contare
i giorni che restano a questa vita
raminga e solitaria
a questo mio corpo ancora pieno di te.
LUCIA GIONGRANDI
domenica 13 agosto 2017
RICORDI UNITRE 2012
Sfogliando tra gli scritti dei miei amici del "Laboratorio di scrittura unitre, ho trovato un simpatico scritto di RINALDO AMBROSIA e mi piace riproporlo:
rinaldo ambrosia, marzo 2012
Pubblicato il settembre
21, 2012 di mariadulbecco
Partitura per versi e prosa
Sono voci che in quell’aula prendono forma.
Dapprima incerte, flebili, timorose, accennate. Parte il solista e il direttore inizia a scandire i tempi, a dirigere la partitura. Tu ti ritrovi tra altre persone che danno forma e vita alle loro pagine, alle loro parole. C’è un passato che si srotola, tra gioie e dolori, tra le pagine di vita e le storie che si intrecciano, che scaturiscono da un’infanzia comune. Luci e ombre di amori negati. Gesta di genitori che hanno cresciuto i figli sotto una pioggia di bombe.
Ci sono passioni sopite che urlano forte la loro presenza e la gioia di un verso fa capolino come un raggio di sole. Una partitura ti accompagna tra i sentieri agresti. Storie di città; oggetti che, come relitti, affiorano dal passato. E tu navighi, cullato dal suono delle storie, percorri sentieri che mai avresti conosciuto.
La poesia si fa spazio, ti sembra una fata che cammina a piedi nudi nella rugiada del bosco, ma il laboratorio reclama forte l’uomo faber. Il direttore d’orchestra chiede l’attenzione dei musicisti e allora, a casa, nelle pieghe del silenzio, tra gli spazi vuoti del giorno, chiudi fuori gli affanni e inizi a scrivere e a comporre.
Superi l’impatto dell’onda bianca del foglio, ti sembra una slavina che si infrange sui tuoi occhi e fa male quel biancore che ferisce. Scrivi, mentre acchiappi i tuoi sogni, imbrigli le tue passioni e trascini tutto sulla carta; lì vedi le parole nascere, un’aiuola che sboccia e fiorisce. Un soggetto va alla ricerca del suo predicato, un attributo cerca il suo sostantivo, mentre la congiunzione si lega a due periodi. Consegni alla scrittura il tuo mondo interiore, tutta la tua vita. É una partitura musicale che abbandona il foglio e si diffonde nell’aria.
Nel fare ciò, c’è un senso di piccolezza che ti coglie, ti sembra di rimpicciolire tutto, di farti da parte mentre la parola s’ingrossa e prende forma, mentre la storia cresce e si dipana. Sembra che ti spinga fuori, che ti releghi al ruolo di osservatore.
Tu sei solo un padre occasionale, lei è lì che vuole nascere e vedere la luce. Poi, quando tutto è concluso, prendi il foglio e nel laboratorio, sotto l’attenta direzione di Maria, dai fiato al tuo strumento e le parole fioriscono e si diffondono, rimbalzano nell’aula e, tra tutti i partecipanti, cresce e prende corpo la polifonia.
Laboratorio di scrittura dell’Unitre di Rivoli
Direttore: Maria
Musicisti: Rosy, Ivana, Anna, Beatrice, Silvana, Rosa Maria, Luciana, Rosa, Silvy, Maria Luisa, Gina, Mara, Lucia G. Lucia Z.
Renato, rinaldo Domenico, Osvaldo, Beppe, Franco,
Dapprima incerte, flebili, timorose, accennate. Parte il solista e il direttore inizia a scandire i tempi, a dirigere la partitura. Tu ti ritrovi tra altre persone che danno forma e vita alle loro pagine, alle loro parole. C’è un passato che si srotola, tra gioie e dolori, tra le pagine di vita e le storie che si intrecciano, che scaturiscono da un’infanzia comune. Luci e ombre di amori negati. Gesta di genitori che hanno cresciuto i figli sotto una pioggia di bombe.
Ci sono passioni sopite che urlano forte la loro presenza e la gioia di un verso fa capolino come un raggio di sole. Una partitura ti accompagna tra i sentieri agresti. Storie di città; oggetti che, come relitti, affiorano dal passato. E tu navighi, cullato dal suono delle storie, percorri sentieri che mai avresti conosciuto.
La poesia si fa spazio, ti sembra una fata che cammina a piedi nudi nella rugiada del bosco, ma il laboratorio reclama forte l’uomo faber. Il direttore d’orchestra chiede l’attenzione dei musicisti e allora, a casa, nelle pieghe del silenzio, tra gli spazi vuoti del giorno, chiudi fuori gli affanni e inizi a scrivere e a comporre.
Superi l’impatto dell’onda bianca del foglio, ti sembra una slavina che si infrange sui tuoi occhi e fa male quel biancore che ferisce. Scrivi, mentre acchiappi i tuoi sogni, imbrigli le tue passioni e trascini tutto sulla carta; lì vedi le parole nascere, un’aiuola che sboccia e fiorisce. Un soggetto va alla ricerca del suo predicato, un attributo cerca il suo sostantivo, mentre la congiunzione si lega a due periodi. Consegni alla scrittura il tuo mondo interiore, tutta la tua vita. É una partitura musicale che abbandona il foglio e si diffonde nell’aria.
Nel fare ciò, c’è un senso di piccolezza che ti coglie, ti sembra di rimpicciolire tutto, di farti da parte mentre la parola s’ingrossa e prende forma, mentre la storia cresce e si dipana. Sembra che ti spinga fuori, che ti releghi al ruolo di osservatore.
Tu sei solo un padre occasionale, lei è lì che vuole nascere e vedere la luce. Poi, quando tutto è concluso, prendi il foglio e nel laboratorio, sotto l’attenta direzione di Maria, dai fiato al tuo strumento e le parole fioriscono e si diffondono, rimbalzano nell’aula e, tra tutti i partecipanti, cresce e prende corpo la polifonia.
Laboratorio di scrittura dell’Unitre di Rivoli
Direttore: Maria
Musicisti: Rosy, Ivana, Anna, Beatrice, Silvana, Rosa Maria, Luciana, Rosa, Silvy, Maria Luisa, Gina, Mara, Lucia G. Lucia Z.
Renato, rinaldo Domenico, Osvaldo, Beppe, Franco,
rinaldo ambrosia, marzo 2012
giovedì 3 agosto 2017
Grazie Pablo!!!
Il componimento di un amico dell'ultimo anno, molto gradito a tutti i componenti del mio
"Laboratorio di scrittura"
GRAZIE PABLO!!
lasciano un solo sole vuoto in un letto.
Di tutte le verità scelsero il giorno:
non s’uccisero con fili, ma con un aroma
e non spezzarono la pace né le parole.
E’ la felicità una torre trasparente.
L’aria, il vino vanno coi due amanti,
gli regala la notte i suoi petali felici,
hanno diritto a tutti i garofani.
Due amanti felici non hanno fine né morte,
nascono e muoiono più volte vivendo,
hanno l’eternità della natura.
Di tutte le verità scelsero il giorno:
non s’uccisero con fili, ma con un aroma
e non spezzarono la pace né le parole.
E’ la felicità una torre trasparente.
L’aria, il vino vanno coi due amanti,
gli regala la notte i suoi petali felici,
hanno diritto a tutti i garofani.
Due amanti felici non hanno fine né morte,
nascono e muoiono più volte vivendo,
hanno l’eternità della natura.
da Cento sonetti d’amore di Pablo Neruda
NERUDA è il primo poeta che ho amato nella mia vita di giovane uomo.
Quelli della scuola elementare e media, Pascoli, Carducci, Leopardi e gli
altri li avevo subiti con non poca sofferenza da insegnanti tiranni ed
ortodossi.
Era il 1969, avevo 20 anni, e da poco avevo conosciuto una giovane di nome
Cristina di 17.
Faceva il liceo classico, colta, intelligente e curiosa mi aveva aperto la
mente alle cose belle: letture, teatro, impegno politico, musei, curiosità.
Lavoravo di giorno e la sera andavo all’ Università, il mio tempo libero
passava fra lei, il basket, letture, qualche amico e la famiglia.
Il giorno di un mio compleanno arrivò all’appuntamento con un bellissimo
libro, I cento sonetti di Pablo Neruda, poeta cileno.
Poeta del’ amore, del sociale, della politica, della società civile, della
natura umana.
Neruda fu per me una folgorazione, lessi e rilessi quelle poesie, assetato
com’ ero di emozioni e vibrazioni per la passione amorosa che stavo vivendo.
Da lui ispirato scrissi molti versi.
A distanza di quasi 50 anni non dimentico un attimo di quei momenti. GRAZIE
PABLO!!
Neruda sarebbe morto poco dopo, il 23 settembre 1973 quasi sicuramente
ucciso ad opera di sicari del dittatore Pinochet con la collaborazione di
agenti della CIA.
In seguito mi appassionai ad altri poeti, Pavese fra tutti, ma in modo
tiepido, il MOLOCH del lavoro mi divorava, convogliando le mie energie migliori
nell’ ingranaggio micidiale dell’efficienza e produttività.
Fino all’ altro ieri mattina quando finalmente mi sono improvvisamente
svegliato padrone del bene più prezioso, IL TEMPO.
marzo 2017 Cesare
Tambussi
sabato 29 luglio 2017
In fondo ai miei post leggp: nessun commento...
Casualmente ho trovato cliccando (blogger) numerosi commenti che non vedo in questo contesto?
Virrei capirne di più e nel mentre:
Preghiera
di Maria Mastrocola Dulbecco
Casualmente ho trovato cliccando (blogger) numerosi commenti che non vedo in questo contesto?
Virrei capirne di più e nel mentre:
Preghiera
di Maria Mastrocola Dulbecco
PREGHIERA
La mia
preghiera
è fatta
di parole mute
di candele accese
di sguardi imploranti.
è fatta
di parole mute
di candele accese
di sguardi imploranti.
Le mie
mani vuote
le mie labbra chiuse
la mia nullità
è tutta racchiusa
nel desiderio
di una serenità
che non mi appartiene
ma che desidero
con tutto il mio esistere.
le mie labbra chiuse
la mia nullità
è tutta racchiusa
nel desiderio
di una serenità
che non mi appartiene
ma che desidero
con tutto il mio esistere.
Aspetto
inerte
passiva e consapevole
che è qualcosa
di inafferrabile
così come lo è
la certezza.
passiva e consapevole
che è qualcosa
di inafferrabile
così come lo è
la certezza.
Maria
Mastrocola Dulbecco
sabato 15 luglio 2017
IL MARE
IL MARE
Il mare, mi accarezza
le guance
mi accoglie
mi avvolge
mi solleva
mi rincuora
mi libera
mi isola
mi tiene compagnia
mi parla
mi ascolta
mi fa le sue confidenze
ascoltando le mie
Maria
Mastrocola Dulbecco
domenica 9 luglio 2017
LA ZIA MARIA
Zia Maria
Strappiamo un altro foglietto?
Quando ero piccola e abitavo in un piccolo paese Abruzzese, San Salvo (Chieti) quasi sempre arrivava la zia Maria da Torino. A lei piaceva lavorare a maglia ma divorava i libri attaccandomi la voglia di leggere. Lei leggeva mentre sferruzzava, il libro appoggiato sulle ginocchia e le mani che intrecciava fili per fare cose meravigliose per noi nipoti e per suo figlio Paolo il mio cugino preferito con il quale giocavo e combinavo marachelle.
Con il passare degli anni e noi diventavamo più grandi, lei fantasticava con noi.
Quanti vestiti di “cadì” abbiamo sognato insieme mentre sferruzzava niki e golfini
. Descriveva i modelli che le sarebbero piaciuti e noi con lei.
Quando arrivava portava sempre un bel guardaroba e prima di tutto i suoi bellissimi cappellini che insieme ad una vestaglia costituivano la mia ammirazione.
Quella vestaglia lunga che io e Paolo indossavamo e giocando alle signore, ci specchiavamo in quel grande specchio dell’armadio di mia mamma.
Un anno portò una stoffa molto bella e mamma, con quella stoffa, le confezionò un vestito bellissimo. Era di una seta stupenda e io raccattai tutti i pezzi avanzati per farne un vestitino alla mia bambola. Lei con Paolo doveva andare al mare a Viareggio…che favola per noi che pensavamo a Viareggio come al posto più bello per una villeggiatura.
Zia Maria, zio Gaetano e Paolo sono ricordi di un arrivo speciale per Natale e per le vacanze estive…
Strappiamo un altro foglietto?
Quando ero piccola e abitavo in un piccolo paese Abruzzese, San Salvo (Chieti) quasi sempre arrivava la zia Maria da Torino. A lei piaceva lavorare a maglia ma divorava i libri attaccandomi la voglia di leggere. Lei leggeva mentre sferruzzava, il libro appoggiato sulle ginocchia e le mani che intrecciava fili per fare cose meravigliose per noi nipoti e per suo figlio Paolo il mio cugino preferito con il quale giocavo e combinavo marachelle.
Con il passare degli anni e noi diventavamo più grandi, lei fantasticava con noi.
Quanti vestiti di “cadì” abbiamo sognato insieme mentre sferruzzava niki e golfini
. Descriveva i modelli che le sarebbero piaciuti e noi con lei.
Quando arrivava portava sempre un bel guardaroba e prima di tutto i suoi bellissimi cappellini che insieme ad una vestaglia costituivano la mia ammirazione.
Quella vestaglia lunga che io e Paolo indossavamo e giocando alle signore, ci specchiavamo in quel grande specchio dell’armadio di mia mamma.
Un anno portò una stoffa molto bella e mamma, con quella stoffa, le confezionò un vestito bellissimo. Era di una seta stupenda e io raccattai tutti i pezzi avanzati per farne un vestitino alla mia bambola. Lei con Paolo doveva andare al mare a Viareggio…che favola per noi che pensavamo a Viareggio come al posto più bello per una villeggiatura.
Zia Maria, zio Gaetano e Paolo sono ricordi di un arrivo speciale per Natale e per le vacanze estive…
La zia Maria è la signora in centro.
Foto scattata da un fotografo ambulante a Torino nel primo dopoguerra con zia Vutalina a sinistra in attesa di trasferirsi negli USA da suo marito.
A destra mia madre Filomena Lucarelli
martedì 4 luglio 2017
APPUNTI
APPUNTI
Le mie storie su San Salvo continuano ricordando tanti
personaggi che ho incontrato nella mia vita da bambina e poi adolescente :
-Achille il
portalettere, la sua umanità. le lacrime
nel consegnare posta che sapeva fonte di
cattive notizie quando queste arrivavano dai soldati al fronte durante la
seconda guerra mondiale.
-Gerardo che andava a prendere i miei zii alla stazione con
la carrozza quando arrivavano da Torino e io ero con loro.
-Mia mamma che andava a “segnare” la dote per una
valutazione nei matrimoni.
-I casolani che mi portavano il formaggio di latte misto
pecora e mucca perché sapevano mi piaceva. Venivano da mia mamma che faceva la sarta.
-A tale proposito ricordo le donne del paese che misuravano
il filo e portavano alla mamma cento metri che (avevano calcolato) doveva
bastare per cucire un vestito.
Da bimba ho assistito a mille diatribe sulla affermazione
che quel quantitativo doveva bastare, Questo prima che sul mercato si
trovassero le spolette di filo della
Cucirini Cantoni Croatis dall’emblema
dei tre cerchi concentrici.
-Mille altri avvenimenti rimasti nella mia mente e che si svolgevano in quel piccolo paese fotografato
intatto alla mia memoria che viveva nei suoi tre o quattro kilometri quadrati
lontano da altri centri non facilmente raggiungibili.
-Il dialetto non era
contaminato e si distingueva dai paesi confinanti lontani almeno dieci
chilometri.
domenica 2 luglio 2017
CERIALE (Liguria)
Ore 6,30 Ceriale
Agosto 1995?
La spiaggia è ancora addormentata,
deserta, il mare calmo appena si muove.
Il risveglio non è assordante come le
ore che seguiranno.
Le onde lambiscono la sponda pigramente
quasi a non voler disturbare le persone
che ancora dormono dietro le finestre socchiuse di fronte a questa massa
stupenda di acqua azzurra.
Il furgoncino della stampa preceduto
dal rumore di una saracinesca che si alza lascia il suo pacco di giornali.
Un altro furgone arriva a scaricare
altri giornali forse riviste, ripartono e nel silenzio assoluto il rombo di questi motori sono amplificati al massimo.
Passa una famiglia di quattro persone,
forse si godono una passeggiata sul bagnasciuga prima che venga invasa dai
bagnanti.
Due pescatori con le canne in mano attraversano la passerella per guadagnare il
posto migliore sull’isolotto che si trova al fondo ma qualcuno li ha già
preceduti. Resteranno tutta la mattina, con le loro attrezzature migliori e le
ultime esche comprate al negozio di “Caccia e pesca” con la speranza di agguantare qualche pesce.
Due cocorite, dentro una gabbia appesa
al balcone di fianco iniziano il loro chiacchiericcio, sono variopinti e per un
attimo attirano la mia attenzione.
Più tardi è un andirivieni di mariti
che vengono a conquistare un posto sul
pezzo di spiaggia libera piantando l’ombrellone e preparando le sdraio per le
mogli o anche per loro. Ci si prepara a trascorrere una giornata al sole.
Paolo è sceso giù a portare il
cane poco più giù nel viale dove in un apposito piccolo
ritaglio lungo la ferrovia, anche loro possono fare i loro comodi.
Io vado giù a sedermi su una sdraio che
gentilmente la padrona dello stabilimento di sotto mi mette in riva al mare.
Passo prima a prendere un caffè e fare due parole con loro. Ho bisogno di rilassarmi, di dimenticare le
preoccupazioni che al lunedì mi attendono in città ed allora mi tuffo
nell’acqua perché quello per me è un momento di
serenità, racconto al mare i miei dispiaceri e questi si attenuano a
quel liquido tepore e mi infonde un po’ di speranza, mi ricarica per affrontare
domani.
Mi porto un libro per avere un contegno
visto che sono sola in mezzo a tanta gente che
allegra schiamazza, grida con i bambini, sorridono, si scambiano
opinioni sulla giornata e sui conoscenti
assenti.
Non resto molto, non sono serena,
scappo sopra tanto dal balcone posso guardare
tutti e quel mare immenso mi
ispira fiducia in quel domani che non ha pietà di me.
venerdì 30 giugno 2017
RICORDI
A ottantadue anni i ricordi fanno parte dei miei pensieri e ripasso testi scritti in passato;
12 luglio
2014
Mio scrivere
giornaliero
Per me scrivere era fonte di
vita. Ogni emozione veniva da me impressa sulla carta. da quando ho avuto la facoltà di impugnare una
penna.
Ho imparato a scrivere con la
matita e avevo a disposizione una gomma per cancellare. Non ho amato questa
gomma e credo posso contare sulle dita di una mano le volte che l’ho adoperata.
Prima di scrivere
imparavo bene cosa avessi dovuto mettere sulla carta e cercavo,
riuscendoci, di non sbagliare. Quel quaderno non mi sarebbe piaciuto con delle
ombre di cancellature.
Passai poi all’inchiostro e
sul banco avevamo dei piccoli calamai dove la bidella passava a versarci
dell’inchiostro dove noi bimbi. di prima elementare, intingevamo le penne attenti
a non spargere macchie nel circostante e in modo speciale sui quaderni.
Prima di portarlo sul rigo di scrittura, con una mossa rapida appoggiavamo la penna
sul bordo del calamaio e strisciandola facevamo in modo che restasse sulla
penna il meno possibile di inchiostro, quello che bastava per scrivere. Ricordo
i miei quaderni, puliti, ordinati senza mai fagli fare le orecchie, quello
spiacevole inconveniente che si formava al bordo di esse.
Scrivere, che conquista!!!
potevo raccontare e cercherò di raccontare nelle prossime pagine…
sabato 24 giugno 2017
Vita Torinese 1954 (seconda parte)
VITA TORINESE 1954
SECONDA
PARTE
Ero arrivata a
Torino per una vacanza e mentre mia sorella andava a lavorare io restavo con
Michelina che si dava da fare a prepararci pranzetti speciali. A me piaceva
molto mangiare pane e burro (venivo da un paese dove il burro non esisteva) poi
quel burro era particolarmente gustoso.
Veniva conservato
nella ghiacciaia. Da Michelina come
anche nelle altre case allora, non esisteva il frigo ma avevano la ghiacciaia
dove riponevano il ghiaccio che compravano da un venditore di passaggio e per
un po’ gli alimenti si conservavano.
Alcune mattine mi
recavo dai miei zii in via Principessa Clotilde e spesso mio zio mi portava con
lui in ufficio. Il suo ufficio era alla prefettura di Torino in
piazza Castello vicino al teatro Regio, al palazzo Reale e a Palazzo
Madama. Curiosa come sempre mi
impadronii di una macchina da scrivere, non l’avevo mai adoperata ma impiegai
poco ad impratichirmene tanto che i colleghi di mio zio mi passavano delle
pratiche da scrivere e per me era un piacere scrivere con questo aggeggio.
Mi sono fatta
dare dei fogli da mio zio e cominciai a scrivere i miei racconti non più con la
biro ma a macchina. Ci avevo preso gusto e così tutte le mattine andavo con
lui in Prefettura. Mi piaceva anche perché assaporavo il piacere
di uscire, con lui, alle ore undici per andare a prendere il caffè da Florio il
bar frequentato dagli impiegati della zona che era a pochi passi, in via Po.
Bar elegante,
molto antico e che esiste ancora.
Dopo questo rito
si tornava in ufficio.
Accadde che un
collega dello zio, una mattina, mi chiese se non era nelle mie intenzioni di
fermarmi a lavorare a Torino. Un suo amico cercava una impiegata e secondo lui
potevo presentarmi perché il lavoro da svolgere poteva essermi congeniale.
Accompagnata da
mio zio ci siamo recati a questo colloquio che avvenne in casa di questo amico
ed era in via Biella via che incrociava
con via Brindisi dove abitavo.
Ci accolse una
bellissima signora, molto elegante e
gentile che ci ha fatto una ottima impressione,
In modo speciale
a mio zio che apprezzava molto le bellezze femminili.
Lei ci spiegò che
era un incarico per registrare fatture e svolgere la corrispondenza.
Al mattino dopo
mi recai in questo magazzino, in via Piave, dove trovai a ricevermi una signora
molto avvenente che mi diede subito qualcosa
da fare, dovevo scrivere delle lettere
ad alcuni fornitori e lei aveva preparato delle minute dove si esprimeva in maniera molto colorita e la
grammatica aveva smesso di avere la sua funzione.
Tutto l’ambiente
attorno mi confondeva, vi erano presenti
un ragazzo imbronciato e una ragazza magra ma carina, molto sorridente. Il
fatto era che mentre io cercavo di decifrare quelle lettere e le scrivevo a
macchina, loro parlavano o meglio gridavano a voce alta parlando uno stretto
veneto per me incomprensibile.
A Dio piacendo
cercai di tradurre quelle frasi assurde e riuscii a compilare queste lettere
secondo il volere della imbellettata signora.
Terminato le quali glie li lessi ed ottenni
l’approvazione della signora. Avevo mitigato le frasi più crude ma venne
approvato il tutto, scritto gli indirizzi sulle buste, Pietro il ragazzo che
poi era il figlio partì per spedirle al vicino ufficio postale.
Anche la ragazza
era sua figlia, poco dopo arrivò il marito che tutti chiamavano il Cavaliere ed
era una persona molto curata che parlava un ottimo italiano . E’ arrivato con
una macchina di un certo livello ma io non conoscevo le auto e non sapevo
distinguere le marche ma mi avvidi che era di pregio.
Nell’insieme, in
quella confusione non mi trovai smarrita e non mi spaventai, anche perché la cosa mi faceva comodo così
non si sarebbero avveduti della mia poca preparazione.
Capivo che
il tenore dei loro discorsi a voce
alta erano di litigi ma non erano fatti miei.
Tornai il mattino
dopo e poi ancora.
Alla richiesta di
mio zio se mi fossi trovata bene lo riassicurai e ho continuato ad andare.
Tra una, loro
lite ed un’altra cominciai a capire anche il veneto e a rendermi conto che la
signora stava allestendo un negozio in una zona importante di Torino e presto
sarebbe andata via da questo magazzino all’ingrosso dove subentrava il figlio
maggiore che era il marito della signora bella ed elegante che avevo conosciuta
con mio zio in via Biella.
A tutta quella
confusione subentrarono il figlio maggiore e sua moglie.
Tutto diventò
diverso. Io e la signora Ada andavamo
molto d’accordo, il marito andava a vendere i gli articolo di ceramiche ai fioristi e altri negozi e
tornava nel pomeriggio portando gli ordini delle quali preparavo le fatture e
lui con l’aiuto di un ragazzo preparava gli oggetti da consegnare a il giorno
dopo.
Io e Ade, visto
la giovane età mia e sua, lei aveva quattro anni più di me , avevamo molto
appetito ed eravamo ottime clienti di una panetteria a fianco e oltre alla
pizza facevamo grossi panini ripieni di mortadella e li mangiavamo con gusto e
risate.
Ridevamo molto al
passaggio di un “barbone” che passava sulla strada tirando un carrettino dove
aveva il suo guardaroba e tutto il suo avere (credo disdegnasse un alloggio) e
guardandolo passare dicevamo, chissà se anche noi faremo la stessa fine …
Le discussioni si ripetevano ogni qualvolta la
signora padrona precedente (suocera della Adelina) veniva a prendere oggetti
per il suo nuovo negozio e non si capiva se andavano fatturati ma certamente
non li pagava e non aveva nessuna importanza se non venivano detratti dalla
merce in deposito magazzino.
Tanto non si
capiva niente, il tempo trascorreva e in qualche modo si pagavano le tratte che
arrivavano con gli incassi della giornata.
Raccontare questo
andazzo sarebbe lungo e complicato ma io cominciai a preoccuparmi per i
pagamenti di fine mese tanto da patirne come se fossero stati impegni miei.
Il cavaliere si
dava da fare per escogitare nuove entrate da devolvere alla moglie che si
adirava con lui rivolgendogli invettive quando non era soddisfatta.
Tutte questa
notizie ci giungevano tramite telefono linea molto attiva in quel magazzino.
A queste sfuriate
seguivano mattinate di calma e
chiacchiere liete con la Adelina che aveva un bambino di due anni che
era guardato, a casa, da una beby-sitter.
Il Cavaliere si
trovò a comprare una fabbrica di ceramiche ad Albisola mare, patria di famose ceramiche.
Rilevò un
patrimonio interessantissimo e naturalmente tutti i pezzi più importanti
finirono nel negozio di Via Milano che rendeva molto e lo gestiva da sola la
signora Nana (chiamata così dal marito
per un diminutivo di Giovanna)
Una frase che mi
è rimasta in mente era quella che il cavaliere rivolgeva a sua moglie quando
voleva calmarla: “Nana sta brava”
Non credo che
queste persone si fossero rese conto di cosa avevano trovato ad Albisola. Il
precedente proprietari ospitava artisti
molto in voga nel periodo e che in questa fabbrica andavano per
sperimentare le loro opere d’arte. Tra questi vi era il famoso Lucio Fontana.
(Per intenderci quello famosissimo delle tele con i tagli) che provavano le
loro opere e lasciavano molti pezzi prova.
Il Cavaliere con
i suoi figli adoperavano questa fortuna per farne regali a persone importanti o
che prestavano loro del soldi.
Ho visto passare
piatti di Fontana ed altri regalati con una facilità estrema. Oggi valgono una
fortuna ma anche allora erano già apprezzatissimi.
Questa famosa
fabbrica di ceramiche, il Cavaliere decise di trasportarla a Torino a allo
scopo affittò un grande magazzino a Settimo torinese (diciamo periferia di
Torino).
In men che non si
dica, tutta questa attrezzatura vasche torni e soprattutto forni vennero
trasportati e istallati a Torino.
Fu così che mi
ritrovai ad essere l’impiegata unica di questo enorme complesso.
Quanta meraviglia
nel vedere questi forni e assistere alle creazioni di oggetti con questo
materiale che a me sembrava fango e per magia si trasformava in splendidi
oggetti.
Il cavaliere e
sua moglie si recarono nel veneto e tornarono con un gruppo di persone provetti
ceramisti ai quali assicurarono uno stipendio adeguato e fornito loro alloggi
abitazioni.
Questi operai
comprendevano un esperto modellatore di oggetti artistici. Esperti di miscele
per materiale occorrente a realizzare statue e vasi artistici tanto che la ditta
fu intitolata. Ceramiche Artistiche.
In quel lungo
magazzino avevano trovato posto i tre forni e all’ingresso vi era una stanza
occupata da una scrivania per me e di fronte un’altra dove spesso si fermava il
cavaliere.
La fabbrica
iniziava con lo spazio dedicato all’artista che
inventava le opere, poi di seguito vi trovavano posto due tornitori che
facendo girare il tornio ed eseguivano
vasi, portaombrelli e altri oggetti che quelle sapienti mani sapevano creare
adoperando quella argilla. le mani i piedi che azionavano quel tornio dove
spuntavano come in un miracolo oggetti
stupendi che venivano poi cotti al forno e al mattino da quelle bocche spente dal fuoco uscivano oggetti divenute
bianche.
Una serie di
ragazzine erano poi intente a dipingere questi oggetti che venivano poi
nuovamente cotte in quei forni e le pitture rimanevano impressi in quelle
ceramiche.
Alcuni oggetti
erano finiti con questo procedimento ma altri venivano impreziositi con
rifiniture in oro zecchino e poi rimessi in forno per la definitiva cottura .
Gli oggetti
scelti venivano inseriti in un catalogo numerato fino a creare un campionario
di almeno cento oggetti che venivano fotografati formando un catalogo da
presentare, per la vendita, a negozi di casalinghi e fiorai.
Continuerò a
raccontare premettendo numerose evoluzioni e accadimenti in questa fabbrica
dove ho imparato a districarmi in tutte le incombenze amministrative.
Maria Mastrocola Dulbecco
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